A bocce ferme, estenuato dalla guerra per bande tra tifosi a corollario e commento di un mercato di gennaio abbastanza sconcertante in alcune sue manifestazioni esteriori e pieno di “manca l’ok di”, dove alcuni sono convintissimi che la proprietà interista sia il male assoluto e gli altri stanno imparando l’inno della rivoluzione culturale cinese “Donfang Hong” a memoria per essere più vicini ed integrati alle posizioni di Nanchino, ho deciso di voler fare chiarezza, soprattutto a me stesso, cercando di farmi un’idea usando un approccio logico e mettendo insieme tutte le informazioni certe in mio possesso.

Perché ho deciso di fare questo? Posto che la risposta “ecchissenefrega” è sempre un’opzione validissima, se non la migliore, ho voluto schiarirmi le idee perché la mia posizione in merito alla gestione delle cose nerazzurre è sempre stata abbastanza chiara finora e cerco di riassumerla brevemente qui: ritengo che il post-Triplete sia stato gestito malissimo per mancanza di coraggio inizialmente, da parte di Massimo Moratti (o forse perché semplicemente troppo tifoso, come e più di tutti noi) nell’approcciare in maniera totalmente diversa un periodo che non avrebbe più potuto essere, per cause di forza maggiore, identico ai suoi primi sedici anni di presidenza. La vendita del club a uno speculatore prima, che ha avuto però il merito di rimettere in sesto la barca finanziaria interista che era disastrata ai limiti del fallimento (evitato solo perché il maggior creditore era, fortunatamente, Massimo Moratti), o almeno mettere le basi per far ciò, e un secondo passaggio di proprietà in così poco tempo, hanno fatto il resto: sul campo la confusione, gli errori, la mancanza di un’idea vincente e di un minimo di continuità tecnica e progettuale nel mezzo delle ristrettezze economiche, in poche parole di abilità necessarie a tirar fuori più del massimo dal poco che si ha, si sono tradotte in risultati disastrosi sul rettangolo verde.

Parlando qua e là e battibeccando sui “social” che frequento, va certamente constatato che gli ultimi due anni, ovvero il periodo della gestione del club da parte del gruppo Suning, sono pieni di analisi e fatti apparentemente contraddittori: dall’ingente investimento iniziale fatto dal colosso del retail cinese, circa 500 milioni di euro la cifra totale investita sinora, che avrebbe dovuto logicamente suggerire una volontà di rilancio economico e soprattutto sportivo dei nerazzurri, alle dichiarazioni di belligeranza ascoltate dalla voce della dirigenza nerazzurra la scorsa estate, a campagne di comunicazione web improntate ad un rilancio imminente, a campagne acquisti virate all’improvviso sull’austerità più netta, alle inevitabili – dato il contesto in cui opera – pressioni ed influenze che il governo cinese ha sulle aziende di quel paese che operano all’estero, fino all’ultima finestra dedicata ai trasferimenti chiusasi un paio di giorni fa, dando l’impressione di improvvisazione allo stato puro.

Dov’è la verità? La proprietà dell’Inter deve seguire una via stretta dovuta alle norme sul FPF ed al “settlement agreement” firmato e concordato dal presidente Thohir quando ancora deteneva il pacchetto di maggioranza? Oppure c’è la volontà pura e semplice di disinteressarsi del “giocattolo” Inter e anzi di vendere la propria quota al più presto possibile?

Le fazioni del tifo interista, secondo una delle nostre più nobili tradizioni, si sono com’è ovvio spaccate in due, con una preponderanza di chi vorrebbe Jingdong Zhang e il suo management sparire al più presto dal panorama calcistico milanese.

Faccio parte di quel gruppo di tifosi che pensa che un approccio sistemico e pianificato (per quanto si possa pianificare nel calcio) sia il modo più efficace e rapido per far tornare in alto un club nel momento in cui le risorse economiche non sono illimitate come quelle dei soliti 7/8 top club europei, o come quelle che Massimo Moratti ha voluto, per la nostra grandissima fortuna di tifosi interisti, impiegare per portare la sua squadra sul tetto del mondo, come suo padre prima di lui.

Ritengo che se si parte dal basso, e l’Inter post-triplete ha raggiunto dei punti incredibilmente bassi, non si riesce a tornare al vertice senza “step” intermedi a meno di impiegare risorse pari al P.I.L. di un paese di media grandezza, e il tempo necessario per compiere questi “step” sarà proporzionato all’abilità di non commettere errori nel tragitto, e purtroppo abbiamo visto come negli ultimi anni di errori ne siano stati fatti un milione: dalla assenza di continuità tecnica che ha portato a riempire la rosa di giocatori che non si completano a vicenda, creando sempre problemi nel’assemblaggio della squadra, ad ulteriori acquisti sbagliati che invece di risolvere il problema l’hanno accentuato.

L’avvento del gruppo Suning, quindi, mi ha fatto schierare – senza fideismi stupidi – nel gruppo di tifosi che, al contrario dei primi, pensano che questo passaggio di proprietà sia stato un’ottima opportunità per il rilancio del club, pur avendo per conoscenza personale molti punti interrogativi su come sarebbe stato ricevuto l’approccio manageriale cinese, molto diverso da quello cui siamo abituati, anche e soprattutto nel campo della comunicazione al pubblico.  Però l’ultimo mercato, o meglio le modalità con cui esso si è sviluppato e chiuso un paio di giorni fa, hanno dato una scossa alle mie convinzioni e mi hanno costretto a pensare esattamente ai termini della questione.

Termini che alla fine, dopo questo lungo preambolo, sono estremamente lineari, e che sono venuti fuori abbastanza casualmente, come accade sempre in queste cose, da uno scambio di battute con il nostro Julian Ross: a meno che qualcuno non lo sappia per certo, potendo fornire prove certe ed inequivocabili (e se c’è questo qualcuno, sarebbe fantastico se si facesse avanti e condividesse con i tifosi l’informazione), tutte le notizie, i dati, le sensazioni a disposizione non riescono a dare una risposta ad una domanda molto semplice: Suning Group non può o non vuole operare in termini di grandezze economiche per le quali l’Inter potrebbe ritornare competitiva ai massimi livelli?

A questa domanda, le due fazioni del tifo nerazzurro ritengono di poter dare una risposta certa. Ma poiché (escluso sempre il tifoso di cui sopra, quello che sa per certo come stanno le cose perché ha le prove) nessuno può dimostrare al 100% che la propria ipotesi è corretta, rimane un margine di incertezza. Ed è questo margine di incertezza che vorrei cercare di analizzare, non essendo io quel tifoso che sa la risposta, cercando quindi di trovarla, ma più probabilmente cercando di fare domande, possibimente quelle giuste, alle quali qualcuno più esperto del sottoscritto può dare risposte e magari riuscire a fare luce sulla possibile risposta definitiva: è un problema di volontà o di possibilità?

È uscito ieri un articolo a mio parere abbastanza illuminante di “Calcio & Finanza”, sito che si occupa di tematiche legate all’economia dei club.

Parentesi polemica: è vero, i tifosi non dovrebbero fare i commercialisti, né essere esperti di geopolitica, né di management e neanche di relazioni interculturali tra paesi differenti. I tifosi dovrebbero tifare, sostenere la squadra, gioire, esultare, arrabbiarsi per un gol sbagliato o per una vaccata del terzino, stop. Io sono perfettamente d’accordo su questo. Però, il tifoso suddetto dovrebbe allora limitarsi a fare quanto elencato: perché nel momento stesso in cui s’incazza a causa del presidente della sua Marrapollese che non ha speso 400 fantastiliardi di dobloni per comprare Meo Lessi, allora deve andare ad informarsi, perché insultare “ad minchiam” non è giusto (lo so, suona molto demodé), e dare del figlio di puttana ad uno che probabilmente non compra Meo Lessi perché non lo può fare, non va bene. Per informarsi, quindi, deve andare ad interessarsi a materie ed argomenti probabilmente al di fuori del suo raggio di conoscenza. Se non ha voglia di farlo, e non è certo obbligatorio averne, sarebbe intelligente e logico che, quindi, si limitasse a tifare e ad incazzarsi o gioire per chi è in campo, non per chi non c’è o per chi non è venuto nella finestra di mercato. Fine della parentesi polemica.

Tornando all’articolo di “Calcio & Finanza”, in esso troviamo una stima delle cifre che dovrebbero apparire nel bilancio dell’ FC Internazionale al 30 giugno, data in cui si chiude l’esercizio contabile del club nerazzurro. L’articolo chiarisce anche che le cifre sono, appunto, una stima, poiché l’estensore del pezzo non ha potuto accedere a tutte le informazioni necessarie per arrivare ad un numero esatto. Ma anche così, la stima è sufficientemente indicativa per capire a che punto sta la salute economica del sodalizio interista.

Non voglio in questa sede andare ad analizzare le singole voci menzionate nel pezzo citato, c’è chi lo può fare molto meglio e con più competenza di me, e anche perché non è la finalità di questo scritto. Quel che a me pare rilevante sono soprattutto alcuni dati inziali e finali, iniziando da questo, e cito testualmente l’articolo: “L’obbligo di chiudere in break-even anche il bilancio al 30 giugno 2018 (considerando i ricavi e i costi che interessano l’Uefa) ha infatti influenzato anche le mosse di mercato del club nerazzurro… Da dove nasce, però, la necessità o meglio l’obbligo di non poter realizzare acquisti a titolo definitivo? Da un break-even che, ad oggi, è ancora lontano dall’essere raggiunto”.

L’altro dato oggettivamente rilevante per quanto mi interessa al fine di svolgere il mio compito di detective è il seguente, e continuo a citare: “In sostanza, quindi, considerando che nel 2017 l’Inter ritiene di aver raggiunto il break-even per l’Uefa con un risultato di -24 a bilancio, per centrare l’obiettivo alla società nerazzurra mancano circa 50 milioni di euro. Per raggiungere il target, le strade ora sono varie”. L’articolo poi elenca tutte queste varie possibilità, aggiungendo che l’incompletezza delle informazioni in loro possesso potrebbero far sì che questa stima di un passivo di 50M€ circa possa essere inferiore.

Ora, fermiamoci qua, e mi ripeto in modo che il processo logico del mio discorso non sfugga: quale sarebbe, in questo scenario, l’elemento che ci potrebbe far dire con certezza che Suning Group non vuole spendere per l’Inter? O quale quello per cui potremmo essere sicuri che non può? Quell’obbligo di raggiungere il pareggio di bilancio è aggirabile attraverso una semplice volontà di spesa oppure non si può fare altrimenti?

La risposta che ho pensato passa attraverso un paradosso, la buona, vecchia, cara “dimostrazione per assurdo”. L’assurdo è il seguente: supponiamo che abbia scoperto come manipolare lo spaziotempo (e sì, non lo userei per quel che sto per dire, per questo si chiama “dimostrazione per assurdo”…) e abbia catapultato Massimo Moratti versione deluxe 1997 sulla poltrona di presidente nerazzurro al 20 gennaio 2018 quale detentore della proprietà interista. Lasciamo stare Ronaldo, che oggi sarebbe senza prezzo visto che Neymar è costato 220 milioni, ma diciamo che il nostro presidente 23 anni più giovane decida di prendere Stankovic dalla Lazio, risolvendo così molto probabilmente il 90% dei problemi attuali di Luciano Spalletti (nel frattempo con la manipolazione spaziotemporale ho messo lo Stankovic al suo ultimo inverno laziale nel 2018 e rimosso Lotito, spedendolo nell’antica Roma).

La domanda è semplice: può il nostro Massimo Moratti 1997 comprare Stankovic nel gennaio 2018 data la situazione descritta da “Calcio & Finanza” ed alla luce delle regole vigenti?

Da questa risposta, passa il mio parere sulla presidenza Suning. Perché se la risposta è sì, il discorso finisce qui. Che Zhang non possa comprare questo Stankovic perché non vuole o perché Xi Jinping, segretario generale del Partito Comunista Cinese, glie lo vieta, francamente è una distinzione che al momento non fa per me alcuna differenza, se non forse nel fatto che nella seconda ipotesi ci potrebbe essere una remota possibilità che la situazione cambi, un giorno o l’altro. Quindi, se la risposta è sì, dando per scontato che la dirigenza abbia capito chiaramente i termini calcistici del problema – e se non li ha capiti peggio per loro, sono egualmente responsabili, come in ogni azienda che funzioni per bene – allora possiamo tranquillamente dire che questa proprietà non ha nessun piano di rilancio a breve termine. Quale che sia la motivazione dell’investimento iniziale e le cause di eventuali cambiamenti di rotta da quel momento ad oggi, come tifoso seppur informato mi ritengo in diritto di criticare la proprietà e augurarmi la cessione del club quanto prima a chi, seppur magari con meno disponibilità, abbia idee e capacità per riportare l’Inter in alto in un tempo congruo alle possibilità del nuovo acquirente.

Ma se la risposta è no, allora neanche Massimo Moratti 1997, fornito dell’amore sconfinato per la nostra Inter, la volontà di mandare nell’orbita dell’elite calcistica continentale i nerazzurri ed una disponibilità finanziaria virtualmente illimitata per il calcio di quel momento, potrebbe fare nulla, per quanto fortissimamente lo volesse. E se la risposta è no, deve necessariamente cambiare ogni valutazione sul futuro della gestione dell’Inter da parte dell’attuale proprietà.

A me, e per quanto riesca a capirne della situazione economica descritta dall’articolo, mi sembra che si sia esattamente in questa casistica. Felice di essere smentito in qualsiasi momento, ovviamente, ma la mia comprensione delle norme correnti relative al Fair-play finanziario mi dicono che dovrebbe essere così. Certo, ci sono delle obiezioni valide: la prima è che Suning potrebbe non volere, ma poiché non può riesce a mascherare l’assenza di volontà dietro un’oggettiva impossibilità. Questo può essere, ma vuol dire fare un processo alle intenzioni, e sarebbe basato su puro pregiudizio: quando lo fanno con me mi si tappa la vena e riesco a pensare solo alla volontà di procurarmi un fucile d’assalto e sufficienti munizioni per fornire una pacata risposta, per cui non lo farò a mia volta, tanto meno nei confronti di Jindong Zhang, che non ho il piacere di conoscere.

La seconda obiezione è che la proprietà avrebbe potuto decidere di prendere Stankovic e finire in violazione delle regole sottoscritte con l’UEFA. In termini pratici, niente vieta una simile decisione, fatto salvo di subirne poi le conseguenze (multe, eventuali restrizioni parziali o totali alla partecipazione nelle coppe europee), ma qui potremmo anche considerare la scelta di farlo ( o non farlo) nella normale gestione strategica di un club, e se la scelta si rivelasse quella sbagliata potrebbe essere criticata come tale, ma non abbiamo un univoco indizio che porti alla mancanza di volontà di investire sul nostro immaginario Stankovic.

Una terza obiezione, la più valida a mio avviso, è quella che riporta al mercato estivo 2017 più che a quello appena concluso: certe limitazioni dovute alle norme europee sul bilancio e derivanti dagli accordi sottosritti dall’Inter erano note anche allora. Perché quindi degli annunci molto sbilanciati sul tenore di un certo mercato? Non si erano accorti delle limitazioni? Chiaramente fosse così sarebbe un errore gravissimo di gestione. Più probabilmente, in questo caso, limitazioni provenienti dal governo cinese hanno stoppato l’azione che stava per essere intrapresa (e francamente però non ho idea di come avrebbero potuto quindi sopperire all’impossibilità contabile di cui stiamo discutendo). In questo caso, scivoliamo più sull’ipotesi del “non volere” che non del “non potere”, o meglio “non vuole il governo” che però, come ho detto prima, per me tifoso non fa molta differenza.

In conclusione, cosa abbiamo? Non ancora una risposta certa, ovviamente, e quindi il famoso tifoso che abbia le prove di come stiano effettivamente le cose è ancora il benvenuto e invitato calorosamente a farsi avanti. Ma abbiamo ulteriori indizi che ci possono far dire, allo stato attuale delle cose ad oggi 2 febbraio, che è il momento in cui scrivo questo ragionamento a voce alta, che è ancora tutto da dimostrare un disimpegno della proprietà, ed è molto probabile che ci siano degli impedimenti oggettivi che un’assenza di volontà. Se una volta caduti questi impedimenti oggettivi, Suning Group avrà finalmente la possibilità di aumentare gli investimenti nell’area sportiva relativamente al campo di gioco, dimostrando che al momento è una questione di impotenza e non di mancanza di volontà, non possiamo ancora saperlo. Ma dare un giudizio definitivo oggi sulla volontà della proprietà, nonostante i malumori e non rilevando ai fini di questo discorso gli enormi errori commessi nelle campagne acquisti finora effettuate sotto la loro reggenza, mi sembra ancora troppo presto, e comunque ancora figlio di sensazioni e pregiudizi più che di oggettive verità.

Nell’attesa, suggerisco di concentrare le nostre attenzioni su quel che accade in campo, perché alla fine il problema maggiore, quello di cui noi tutti siamo maggiormente attratti e interessati è ovviamente lì, e non nei bilanci, per quanto interessanti. Qualsiasi risposta definitiva verrà fuori, qualsiasi sviluppo avranno le vicende societarie, di una cosa possiamo essere certi e stavolta senza ombra di dubbio: molto meglio affrontarle con una qualificazione in Champions League in tasca che senza. Lo meritano i tifosi, dopo troppi, troppi anni di delusioni. Per l’Inter e per la sua storia il quarto posto è certamente un piccolo traguardo, ma si può sempre sperare che diventi come il passo di Neil Armstrong sulla luna: un piccolo passo per l’Inter, un grande balzo verso un futuro molto migliore del grigiore attuale.