Mi piacerebbe potervi raccontare una bella storia edificante nella quale dei burattini con testa e piedi di legno, poco cuore e ancor meno cervello, ispirati dall’amore, dalla voglia di rivalsa e dallo spirito di gruppo superano i propri limiti guidati da un saggio mentore per involarsi verso un insperato traguardo, glorificando la forza del gruppo, della determinazione e dell’umiltà a fronte delle avversità, delle alterne fortune e dei maligni antagonisti. Una sorta di mix tra Fuga per la Vittoria, il Signore degli Anelli e Goonies. Mi piacerebbe, eh. Mi piacerebbe ma non posso.

Non posso per vari motivi. Il primo dei quali è che il saggio della nostra versione della favola è Scemone Inzaghi, il condottiero più senza attributi mai visto su questi schermi, capace di essere contagioso per confusione e pavidità più che per altezza morale e coraggio: un poveraccio convinto di avere un grande futuro forte del suo curriculum fatto di coppette vinte contro avversari più forti concentrati su più ambiziosi traguardi, di quarti posti persi all’ultima giornata contro una muta di cani malati (noi nella fattispecie) e di scudetti già vinti buttati via per cambiare i tuoi 2 migliori giocatori in uno scontro diretto in previsione di una partita delle suddette coppette, per vincere 0-1 ad Anfield venendo eliminati e per fare 7 punti in 7 partite. Delusion of grandeur è un termine inglese per la patologia che non rende neanche lontanamente la dimensione della fantasmagoria in cui vive il povero (mica troppo considerato l’immeritato milionario rinnovo) Limone.

L’inizio di stagione horror della Beneamata è anche e soprattutto farina del suo sacco culminato con una masterclass oggi di rara potenza: doppia sostituzione al 30esimo per giallofobia acuta (lasciamo stare il fatto che Bastoni stava facendo cagare) che gli inimica definitivamente lo spogliatoio che già lo trattava come lo scemo del villaggio e che gli fa scompaginare una squadra che più o meno funziona, togliendo ulteriori certezze ai già mentalmente debilitati burattini nerazzurri; a seguire cambi difensivi che trasmettono sempre più terrore a una squadra a cui già non gliene frega un cazzo, con il colpo di genio che lo porta a far entrare in campo uno a cui ha preferito il suo alfiere Acerbi (fino a quel momento uno dei pochi decenti in campo) negandogli il posto da titolare, il prode De Vrij che si esibisce in un classico dei suoi ultimi mesi, l’errore di marcatura con angolo regalato e seconda marcatura casuale per far segnare l’uomo che avrebbe dovuto controllare fumandosi una stizza. Di fronte a tanta stupidità il confine con il capolavoro è labile.

Il secondo motivo per cui non posso proprio indorare l’amara pillola di oggi è che i nostri pupazzi con i piedi di balsa incapaci dei più elementari passaggi a zero centimetri nonostante siano pagati profumatamente (il doppio dei loro omologhi rossoneri, per dire) non glorificano proprio un cazzo di niente, anzi: passano il tempo a sbraitarsi in faccia l’un l’altro, a non passarsi la palla come ripicca per un precedente passaggio mancato, a fare scelte cervellotiche e individualiste e a dimostrarsi dei mezzi uomini prima ancora che mezzi giocatori. Insomma, tutto il contrario della morale di una qualsiasi favola che si rispetti: ci eravamo illusi che fossero cresciuti e maturati negli scorsi 3 anni, che anche senza essere fuori classe avessero compreso come tutti insieme potevano fare la differenza, un po’ moschettieri, un po’ branco, mentre sono sempre i soliti pagliacci troppo pagati e impuniti, i cui capricci e marachelle non vedono mai le giuste conseguenze.

Di fatto i nostri burattini con testa e piedi di legno sono la dimostrazione che non tutti sono redimibili con il buon cuore e i valori positivi, ma che alcuni hanno bisogno solo di prendere una sequela senza soluzione di continuità di calci in culo. In altri tempi, non pensandoci allenatore e società, ci avrebbero pensato i tifosi, ma pure noialtri sugli spalti ci siamo rammolliti abituandoci a questa mediocrità infinita che dura una vita.

Il terzo e ultimo motivo per cui non posso raccontare una storia bella ma solo una triste realtà è il motore primo di tutto questo sfacelo: una società che dopo aver vinto in due anni ha svenduto anche le fodere delle poltrone comunicando a chi va in campo un’idea di smantellamento che difficilmente li può motivare se non a ottenere il massimo per sé e indipendentemente dal destino di chi gli sta intorno, in un clima da “si salvi chi può” che non può portare trofei né vittorie. E i primi che pasteggiano abbondantemente in questo clima sono i dirigente che erano la nostra ultima ancora: Marotta non ha colto come per salvare la baracca doveva evolversi anche lui (magari smettendo di sondare solo parametri zero e territori italiani), o meglio lo ha colto nel senso che si è messo a preparare il terreno per la propria ascesa in Lega, Figc o politica, lasciando a noi in eredità gente come il Nureyev de la Pampa, l’Uomo di Latta Gosens e altri cespiti vari presi con i pochi sesterzi messi a disposizione con pagherò vari; del socio di Marotta in dirigenza non parlo perché l’unica cosa che ha in comune con l’Inter e l’Interismo è il fatto di essere un vero e proprio serpente capace di sgusciare di qua e di là salvando se stesso a scapito della squadra e del suo futuro.

Non è solo per la partita e il risultato di oggi che sono amareggiato. Avrebbe potuto facilmente essere diverso, magari per culo o per caso. Sono deluso perché ogni volta che si intuisce un bivio nelle possibilità della Beneamata imbrocchiamo sempre la strada sbagliata, un destino piuttosto gramo e che mi deprime senza possibilità di redenzione. Perdere intravedendo un futuro, una strategia, un piano si può accettare; la disfatta figlia dell’individualismo e dell’egoismo e della stupidità invece mi fa incazzare come una bestia. E siccome non siamo nati Gastone, ma Paperino, tocca sempre a noi. Fino a che non voleranno di nuovo i sanitari in campo. Speriamo presto. 

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Dalla redazione:
INZAGOMETRO
: 45% (possibilità che il mister resti sulla nostra panchina)

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