Spero mi perdonerete il sobrio e signorile titolo del pezzo, ma uscire a testa bassa per l’ennesima volta dalla massima competizione continentale non mi mette esattamente dell’umore giusto per essere diplomatico. Arriviamo per l’ennesimo anno a giocarci tutto nell’ultima partita del girone con una squadra formata per 3/11 dalla Fiorentina di 4 anni fa e per 2/11 con gente che non giocherebbe manco nel Sassuolo (infatti uno ce l’hanno sbolognato e ancora si fregano le mani, mentre l’altro all’Hertha ancora ridono bevendo alla nostra salute).

Ma il punto è proprio questo: arriviamo a giocarcela all’ultima partita dopo aver pareggiato in casa con la squadra più scarsa del girone e essere passati dallo 0-2 per noi al 3-2 a Dortmund su una rimessa laterale a nostro favore. La CL l’hai salutata lì. Oggi era una missione impossibile che tutto sommato hai provato a giocarti, ma le cui chance di riuscita erano infime (non sarà un caso che in Europa contro il Barça abbiamo vinto UNA sola volta, indovinate quando? Ecco bravi!)

Il karma della partita comunque è stato chiaro da subito: partiamo un po’ contratti, ma i fottuti culé sono venuti a Milano in pantofole, anche se è mesto notare come loro in pantofole e farciti di panchinari siano meglio di tutta la nostra squadra messa assieme, tanto che ogni volta che decidono di accelerare sono volatili per diabetici. Ma al di là di tutte le discussioni il Dio del Calcio si esprime con grande chiarezza nelle cose materiali: abbiamo tre palle gol nei primi venti minuti e capitano sui piedi rispettivamente di Biro Biraghi (!), Mimmo “te vojo bene assai” D’Ambrosio e il mediocampista inesistente (vero attrattore di bestemmie per 90 minuti più recupero dalle mie parti). Il primo rimpallo giusto finisce a Lukaku mezzo metro oltre la linea dei difensori… Sarebbe bastato un decimo di secondo dopo. Dove minchia vogliamo andare? In compenso alla prima penetrazione loro, rimpallo su Godin e uomo liberato a mezzo metro da Handa: goal e tutti in paranoia.

La storia dei rimpalli non è così ridicola: in tutta la partita ce n’è andato per il verso giusto uno solo e in quell’occasione abbiamo segnato il goal del pari. Quando per tutta la partita va così, uno si deve rassegnare. Certo rassegnarsi come feci a Valencia dove eravamo fortissimi è un po’ più facile, mentre rassegnarsi ora alla mediocrità incarnata da buona parte della rosa è più dura.

Torniamo in campo tutto sommato con il piglio giusto e come al solito dobbiamo segnare 3 goal perché ne valga uno come manco al campetto di palla strada. Le vere sliding doors sono due: Lukaku liberato a mezzo metro da quel gobbo maledetto di Neto che spara dritto per dritto sul portiere e quasi in contemporanea goal del Dortmund; poi arrivano i cambi, e le vere porte scorrevoli per i nostri conati sono spalancate. Da loro entrano Suarez (!), il più giovane marcatore di Liga (e da questa sera anche della CL) Ansu (goal alla Eto’o per lui), il centrocampista più forte della scorsa CL Franchino De Jong. Da noi entrano uno scarto del Sassuolo inabile a qualsiasi cosa che non sia rientrare sul sinistro senza tirare mai se non mozzarelle, un terzino demenziale che nella sua prima azione al posto di lanciarsi in profondità verso la porta riesce a lanciarsi verso la bandierina e perdere la palla, un ragazzino di 17 anni che di pastasciutta ne deve mangiare ancora parecchia. Di cosa parliamo esattamente?

Sia come sia l’odiato mister ha mancato il primo obiettivo stagionale, un fallimento con paracadute stante l’esistenza dell’EL, ma un fallimento non di meno. A poco valgono le attenuanti, perché se ha ricevuto in dono 12 milioni netti l’anno non è certo per lamentarsi della rosa che deve spremere come un limone. Certo non si può non ringraziare i signori Ausilio, Zhang e Marotta per aver costruito una squadra che ha 11 giocatori degni di questo nome associati a una pletora di merde che non diventano cioccolata per magia, tantomeno grazie al tocco dell’odiato mister. I limiti della rosa li hanno visti anche i sassi, ma non gente che prende 2 mln all’anno per farlo di lavoro. Ora però la differenza la deve fare proprio lui, per evitare che questo fine anno si trasformi nell’ennesimo fine anno di merda dell’Inter.