(Ovvero di quando Pellegrino da Barcellona furoreggiava più di Ronaldo, Lazaro innamorato di Cristina Plevani, e la cultura storica inculcata a Steven Zhang)

di JulioDiCass

 

Quando Marcello Lippi prese possesso della panchina dell’Inter avevo 17 anni e mezzo. La delusione per la disastrosa stagione precedente e la ferita del 26 aprile ’98 erano ancora molto vivide. La parte razionale del tifoso che era in me aveva ancora davanti agli occhi gli enormi sbagli compiuti dalla società in quell’anno nefasto, dall’inopinata cacciata di Simoni ad una certa indulgenza con Ronaldo, assurto a fine stagione anche a capitano, senza che ancora ci si rendesse bene conto di quali fossero i veri problemi che lo affliggevano, sia fisici che umani. Di certo c’era che aveva cambiato fidanzata, e visto che quella precedente piaceva molto a tutto il popolo interista, me compreso, la cosa iniziava a puzzare. Così accogliemmo “lo skipper”, come quel bagno di umiltà da parte di Moratti nel riconoscere che una certa benevolenza e arrendevolezza paternalistica erano virtù piuttosto controproducenti nel calcio. Soprattutto, che “quelli là” in fondo erano meglio di noi, ed avevano ragione.

Su questo punto, come su moltissimi altri, direi che io e Massimo eravamo in forte disaccordo: per me Marcello da Viareggio poteva tranquillamente starsene in Versilia a pescare. Certo era stato esonerato da quelli là, e senza conferenze stampa da libro cuore come accade ai giorni nostri. Forse aveva un po’ di rivalsa in corpo da spendere bene da allenatore dell’Inter. L’odiato Moggi aveva persino ingaggiato un tecnico giovane che riteneva forse persino più bravo di lui, e in cuor suo Lucianone sperava di averci rifilato un bel pacco. Nell’offertona speciale, Marcello si fece incartare assieme ai pupilli Peruzzi e Jugovic, entrambi con un grande passato, ma dal dubbio presente e soprattutto futuro.

Eppure… sticazzi! Tutto cambiò quando Marcello pretese da Massimo che gli venisse comprato l’attaccante più dirompente d’Europa, quello che con la testa fasciata aveva segnato in finale di Coppa della Coppe sfidando l’uscita alta a pugno chiuso di Roa, portiere della nazionale argentina. Il trascinatore della Lazio (quasi) campione d’Italia. Insomma l’annuncio di Vieri eclissò completamente il passato juventino di Marcello. “Vieri all’Inter!” “Vieri strappato alla Juve!” “Vieri acquistato per 90 miliardi (Ahimè cedendo Simeone…)!” “Vieri in coppia con Ronaldo!”

 

Massimo cambiò tanto altro quella estate. Dalla Lazio fu ingaggiato anche il guru della pallavolo (sigh!), Julio Velasco, un vincente e un motivatore eccezionale – peccato che non se ne capirono mai le mansioni -. Dal Parma invece era arrivato come direttore sportivo Lele Oriali. Niente Visconti di Modroni in panchina adesso! Della rimanente faraonica campagna acquisti del ’99 non farò menzione, se non per dire che oggi sarebbero tutti o quasi tacciati quali grandissimi colpi di mercato, tutti “top players”. Il dado era comunque tratto: non avremmo più sfidato i gobbi con Colonnese&Milanese a sostegno di Ronaldo. Avevamo 18-20 potenziali o effettivi nazionali, e con lo skipper al timone non avremmo temuto confronti.

Come andò a finire la stagione 1999/2000 se lo ricordano tutti, o quasi. Il formidabile trio Borriello, De Santis, Pellegrino da Barcellona (PdG) fu fermato all’ultima giornata da un inopinato acquazzone primaverile e dalla decisione dell’Urlo di Munch in giacchetta nera di giocare ugualmente. Noi, partiti a spron battuto e poi falcidiati dagli infortunii, specie degli attaccanti, e dalle liti interne, ci giocammo il quarto posto (sigh!) valevole per la CL allo spareggio a Verona, con Zamorano e Roberto Baggio di punta, contro un Parma appena defraudato da un incredibile annullamento di un gol di Cannavaro nella penultima partita stagionale contro, sa va sans dir, quelli là. Baggio, praticamente già cacciato per la stagione successiva, tirò fuori una prestazione da campione e con una doppietta ci consegnò il preliminare di Champions – che ci frutterà una delle più grandi umiliazioni della storia interista morattiana (direi che il prosieguo della storia ci avrebbe fatto rimpiangere persino gli spareggi con l’Helsinborg) -. Dopo di ciò, a Marcello non bastò l’acquisto taumaturgico di Hakan Sukur per evitare l’esonero da lui auspicato. Ultimo lascito del viareggino, l’emarginazione e la dismissione, che poi portarono alla definitiva cessione, del miglior talento calcistico italiano dei successivi 15 anni, Andrea Pirlo, al tempo persino tifoso dell’Inter.

Steven Zhang della storia dell’Inter non sa “una beata minchia”, come direbbero i poeti della Scapigliatura. In preda ai fantasmi massimiani, ma senza possederne il grano e i sogni, ha deciso di riportare ad Appiano il nuovo Marcello da Lecce, quello che il 5 maggio rinfacciava (a Materazzi?) i festeggiamenti o la partecipazione all’acquazzone di Perugia. Dalle poche righe di cui sopra si deduce un terrificante parallelismo fra il ieri e l’oggi, che in certi casi – vedi Oriali – sfocia nella coincidenza. Stavolta la fissa del Marcello da Lecce (sembra) si chiami Lukaku, che personalmente rientra nella top ten degli attaccanti più insultati, perchè sopravvalutati, di sempre. Il nemico da marginalizzare è ovviamente Icardi (ma qui potremmo anche dargli ragione), mentre il guerriero con trascorsi di avversione da epurare è Nainggolan (allora era Simeone). Ma se è vero che “la storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa”, allora il parallelismo fra i citati protagonisti bene rendono l’idea della tragica farsa alla quale noi tifosi interisti ogni giorno assistiamo.

Nel frattempo quelli là oggi non hanno neanche bisogno di un Pellegrino per difendersi, mentre, “beffa delle beffe”, si fregiano dello schierare pure un Ronaldo come stella polare. Per il resto, il panorama della serie A odierna è talmente scaduto rispetto al tempo del primo Marcello che difficilmente potremmo trovare contro qualcuno all’altezza del Parma di Cannavaro, Thuram, Buffon, Crespo e co. che ci possa contendere il quarto posto. Nel frattempo auguro a Barella e Lazaro di non ripercorrere la parabola sportiva e interista dei vari Brocchi e Macellari, passato quest’ultimo alla storia non come il nuovo fenomeno della fascia sinistra, ma per la relazione sentimentale con l’allora famosissima ex fiamma di Taricone Cristina Plevani. Eppure qualcosa mi dice che ripetendo le stesse scelte del passato – “attacco muscolare che giochi per la squadra”, “talento italiano tutto intensità”, “spirito di sacrificio e disciplina” –  difficilmente si otterranno risultati migliori nel futuro. In particolare, io penso che un allenatore di calcio debba infondere l’esempio col coraggio, non con la disciplina e la sofferenza. Alla guida della mia nave io vorrei un capitano che in fondo all’orizzonte non mi indichi solo le privazioni necessarie per arrivare alla meta, ma la speranza di un approdo migliore del porto da cui sono partito. Per uscire dalla metafora, vorrei un allenatore dell’Inter che faccia della qualità la sua stella polare, sia essa da ricercarsi nella qualità tecnica individuale o nel perfezionamento del gioco di squadra, senza fare il maestro di morale e/o il garante della disciplina. Un uomo che si cali nella realtà in cui è (profumatamente) pagato, senza vergogna e senza paragoni. Marcello da Lecce insomma, celebrato da commissario tecnico della nazionale più del suo predecessore viareggino campione del mondo per un quarto di finale agli Europei a 24 squadre, veleggia a vele spiegate sulla scia del suo antico mentore. Che finì per essere odiato e abbandonato da più di mezza squadra, dai tifosi e dal suo datore di lavoro. Diretto verso il disastro e l’esonero.

Il tempo è stato comunque galantuomo, almeno con alcuni.

Marcello da Viareggio, lo skipper, si gode oggi la pensione dopo un mondiale vinto degno di Steven Bradbury, ed un fine carriera in esilio nei campi di lavoro (calcistici) del Guangzhou.

Diego Simeone, l’epurato, ebbe poi modo con la casacca della Lazio di battere con un suo gol gli zebrati taurini prima, e di soffiargli lo scudetto sotto l’acquazzone di Perugia poi, vincendo contro lo skipper anche la finale di Coppa Italia.

Suzana Werner, la bellissima bionda ex di Ronaldo, ha trovato l’amore in un altro idolo interista, il portiere Julio Cesar. E nonostante abbia dato quale nome di battesimo “Cauet” al loro primogenito, ha goduto con noi del triplete del 2010, così come della retrocessione in serie B di “quelli là” nel 2006.

A noi tifosi non resta che tifare come sempre, e sperare come in Suzana nel lieto fine, probabilmente senza Marcelli (e senza Stevens?) ad Appiano Gentile.