Paolo Condò è stato nostro ospite per un’intervista-chiaccherata che ci ha dato modo di parlare con lui di Inter, di calcio, di sport. Lo ringraziamo infinitamente per la sua gentilezza e disponibilità, e per il tempo enorme che ha dedicato a noi di Casa Inter, sperando che abbia trovato piacevole il tempo della nostra conversazione almeno la metà di quanto l’abbiamo trovato noi: perché ci siamo divertiti parecchio a sentire le sue opinioni e i suoi racconti, sempre interessanti e mai banali, capaci di fornire nuove prospettive a noi osservatori più lontani sul mondo nerazzurro e non solo.


paolo condò

Hendrik v.d. Decken – Caro Paolo, partiamo dal cambio di campo che hai fatto passando dalla “Gazzetta dello Sport” a “Sky Italia”: in una bella intervista del 2015 rilasciata a Timothy Small per “Ultimo Uomo” spiegavi le ragioni del passaggio motivandolo come una scelta obbligata non solo riguardo alle condizioni contingenti della professione giornalistica (in particolare il pre-pensionamento di molti bravissimi professionisti come Marco Pastonesi, ad esempio, da te citato proprio in quell’occasione), ma anche come un desiderio di sfide nuove e di nuovi stimoli. Sono passati due anni, hai voglia di tracciare un primo bilancio, seppur parzialissimo, di questa nuova esperienza? Qual è la cosa che ti piace di più in questa nuova dimensione e quella che ti piace di meno?

Paolo Condò – La cosa che mi piace di più di questo passaggio a Sky è contenuta nell’idea di rimettersi in gioco, perché alla “Gazzetta” avevo fatto ormai praticamente tutto. Sono molto coscienzioso sul lavoro ma ero arrivato ad un punto in cui andavo a seguire delle partite e prima di guardarle non leggevo più trecento giornali perché pensavo che quello che già sapevo potesse bastare. In televisione è diverso, anche perché interagisci in diretta con gli allenatori e quindi questo significa rimettersi a studiare tantissimo: questa è una cosa che a me piace, mi piace passare il tempo a studiare, a leggere e quindi aver dovuto ricominciare a tenere alta la tensione mi ha praticamente ritardato l’invecchiamento. L’idea di risentire nuovamente l’adrenalina perché stai facendo una cosa nuova per la quale devi confermare la stima grazie alla quale ti hanno messo lì mi ha fatto propendere per questa scelta.

La cosa che temevo di più però è che avendo viaggiato tantissimo in passato per il mio mestiere di giornalista, avendo visto tantissime cose di calcio per il mondo, l’accordo con Sky di restare in studio e non andare in giro mi facesse provare una grande nostalgia per le partite dal vivo. E invece devo dire di no, sto benissimo, tranne quando ci sono partite mitologiche tipo Barcellona-Real Madrid, che ho visto 28 volte allo stadio, oppure Boca-River… Ecco in quei giorni sto un po’ male.

 

AngelOne – Tu hai avuto il privilegio di essere l’unico giornalista italiano invitato a far parte della giuria per l’assegnazione del Pallone d’Oro. Qual è stata, secondo te, l’assegnazione più controversa di questo premio? Da interisti (abbi pazienza…) abbiamo sempre pensato che quello del 2010 avrebbe dovuto vincerlo Sneijder e non Messi. Tu come la pensi su questo?

PC – Sì, questa cosa dell’unico giornalista italiano a essere il giurato per il Pallone D’Oro mi fa ridere ogni volta perché di fatto ogni nazione ha un solo giornalista e quindi sono per forza l’unico (ride, ndr). Sì, ho iniziato nel 2010, fino al 2009 c’era stato Roberto Beccantini ed è un privilegio che gli amici di France Football mi hanno dato probabilmente perché durante i miei anni alla “Gazzetta” mi hanno visto parecchie volte in giro per gli stadi.

Ecco, faccio un inciso, adesso purtroppo non è più così: la crisi della carta stampata fa sì che non si mandino più in giro i giornalisti, giovani e non. Questa è la morte della nostra professione, perché se non giri non puoi raccontare storie, aneddoti, stili di gioco visti dal vivo, ed è una delle cose che poi mi hanno fatto cambiare mestiere, perché fino a qualche anno fa non c’erano problemi nel chiedere di andare a raccontare una storia all’estero, un derby di Istanbul per esempio, non si badava alle spese, agli aerei, mentre adesso questa è una roba che quasi non esiste più. Al netto degli appuntamenti importanti, tipo quarti o semifinali di Champions, si viaggia solo per seguire le squadre italiane.

Tornando al Pallone d’Oro, io ho iniziato nel 2010 come dicevo prima e quell’anno io avevo votato per Sneijder. Ma quell’anno fu il primo in cui la FIFA “comprò” la manifestazione e il premio si fuse con quello del FIFA World Player, dato che fino a quel momento avevano sempre vissuto all’ombra di quello che era alla fine il riconoscimento più prestigioso e più ambito dai calciatori ma che nei fatti era assegnato non da loro ma dai giornalisti. E il Pallone d’Oro è sempre una di quelle poche manifestazioni per la quali i giocatori andrebbero a piedi a Parigi pur di parteciparvi, mentre il FIFA World Player non era così seguito, anzi.

Quell’anno quindi decisero di non far votare solo i giornalisti europei e sudamericani ma anche tutti i capitani, tutti gli allenatori e un giornalista per ognuna delle 210 federazioni e venne fuori quel risultato lì, cioè Messi Pallone d’Oro, nonostante una stagione abbastanza grigia per i suoi standard. Per me poteva benissimo vincere uno tra Sneijder e Iniesta.

Faccio sempre una battuta, che poi battuta non è: probabilmente i giornalisti capiscono di calcio più di giocatori e allenatori… difatti provarono dopo a scorporare il voto dei giornalisti e secondo questa votazione avrebbe vinto proprio Sneijder che però arrivò ufficialmente addirittura quarto, neanche sul podio. E Wesley invece l’avrebbe meritato: aveva vinto Scudetto, Coppa Italia, Champions League, aveva portato l’Olanda al secondo posto ai Mondiali perdendo solo ai supplementari, tra l’altro da capocannoniere pur non essendo attaccante. C’era tutto per dargli il Pallone d’Oro insomma.

L’anno scorso io ho votato Bale e non Cristiano Ronaldo, perché mentre quest’anno ci sarà poco da discutere per tutto quello che ha fatto il portoghese, la scorsa stagione Bale aveva portato il Galles al terzo posto agli Europei facendo una roba eccezionale da protagonista assoluto mentre Ronaldo ha sì vinto ma lo ricordiamo solo per il gol della semifinale. E anche in Champions è vero che ha segnato l’ultimo rigore a San Siro (contro l’Atletico, ndr) ma aveva fatto una partita insufficiente. A me piace ragionare in questo modo: in questi anni il calcio è stato dominato da due fuoriclasse assoluti ma non muore certo con Messi e Ronaldo. Per esempio Iniesta nel corso di questi anni avrebbe meritato ampiamente di vincere un Pallone d’Oro.

 

Ang – Parlando di Inter e di 2010: cosa non ha funzionato secondo te dopo quelle stagioni incredibilmente cariche di successi?

PC – Secondo me l’Inter nel 2010 ha fatto un risultato strepitoso probabilmente superiore alle sue forze. Fatalmente quando arrivi ad ottenere risultati così impressionanti ti dici “Noi valiamo questo” e verosimilmente l’Inter in quel momento valeva qualcosa di meno. Qui c’è la grande opera di Mourinho, che in questo è un mago assoluto: aveva fatto sì che la squadra valesse più della somma delle sue individualità. La perdita immediata di Mourinho è stata l’inizio di questo declino, è stato come perdere il lievito per la pizza, cioè l’ingrediente che trasforma la pizza in pizza. In quel momento i picchi di rendimento sono spariti e tornati a livelli normali.

Ecco, dire che Moratti nel 2010 avrebbe dovuto avere la forza di vendere tutti quelli che avevano mercato in quel momento per ripartire con giocatori giovani può essere un discorso giusto ma secondo me inumano: devi avere una pietra al posto del cuore per vendere tutti quelli che ti hanno fatto vincere tutto, anche se il giorno dopo vengono a bussare a soldi (ride, ndr). Ovvio a posteriori Moratti ha sbagliato ma è uno sbaglio che capisco, non è un errore per cui lo critico, ci sarei cascato anch’io, sono un sentimentale nel calcio.

Poi ci sono state negli anni tante scelte sbagliate, soprattutto con gli allenatori, scelte che hanno inciso sul declino dell’Inter e per le quali non c’è mai stata un’idea chiara: io non avrei per esempio mai ceduto Sneijder o uno come Eto’o, anche se probabilmente erano lì a chiedere più soldi, oppure guardate Coutinho cosa è diventato oggi, sarebbe stato molto utile all’Inter attuale.

Ecco all’Inter post triplete posso attribuire una frase che Gary Neville aveva detto a proposito del Manchester United: guardare la rosa dell’Inter in questi anni è come andare ad una cena ormai terminata e osservare gli avanzi rimasti sulla tavola. Solo che trovi avanzi di carne, avanzi di branzino, avanzi di sushi e ti chiedi: “Ma che diamine di cena era questa?!?!? Cioè, che cosa hanno mangiato questi???”. Ecco, era un patchwork di diversi tipi di calcio e diversi tipi di formazione. Probabilmente c’entra anche il cambio di proprietà naturalmente, in questo neanche tanto lungo interregno di Thohir, ma tutto questo non ha fatto del bene all’Inter dal punto di vista tecnico (poi dal punto di vista finanziario è tutto un altro discorso). Adesso mi sembra che, avendo chiamato un uomo forte dal disegno sempre molto preciso qual è Spalletti, ed essendo Spalletti “spalleggiato” dalla fiducia di tutti quanti, e questo mi sembra abbastanza evidente, ecco lui è in grado di tratteggiare un progetto molto coerente per riportare l’Inter nelle primissime posizioni.

HvdD – Su Spalletti ci torniamo dopo. Nel tuo libro, “Duellanti”, nell’epilogo paragoni Mou a Darth Vader (anzi, all’”angelo caduto” Anakin Skywalker) e Guardiola ad Obi-Wan. Da interista e nerd di “Guerre Stellari” la cosa mi ha fatto un po’ incavolare. Perché hai associato Mou al male e Guardiola al bene? Anzi: porqué? Porqué? Porqué?

PC: Porque? Allora: i primi a sdoganare la “figaggine” di essere il diavolo sono stati i Rolling Stones con “Sympathy For The Devil”, e in questo senso non mi faccio alcuno scrupolo morale nell’associare José Mourinho al diavolo. Secondo me, José Mourinho è il diavolo: è un diavolo per il quale provo una fascinazione strepitosa. L’avrete capito: sono un grande appassionato di intelligenza, e l’intelligenza di José Mourinho è qualche cosa di soprannaturale, per me. È un tipo di intelligenza astuta, è un tipo di intelligenza anche cattiva: è un tipo di intelligenza alla Andreotti, per chi di voi è abbastanza vecchio da ricordarsi l’uomo politico probabilmente più influente della storia italiana del dopoguerra, e che sicuramente era di un cinismo clamoroso. In questo senso, non ho mai nascosto che il mio “lato chiaro” stia con Guardiola, perché il “profeta disarmato”, come l’hanno chiamato, a me piace moltissimo. Mi piace moltissimo anche il suo calcio, naturalmente, anche questo ha la sua influenza: la sua sportività, come quando lui appena finisce – tornando ai “Duellanti” – la partita di coppa del Re corre a stringere le mani di tutti gli avversari. Però, il modo in cui Mourinho solletica il mio “lato oscuro” è fantastico. E quindi, ripeto, per questo lo amo profondamente, ed è una delle persone che hanno davvero arricchito la mia vita professionale.

 

HvdD – Perché tutti mettono l’accento su Mou come “el puto amo”, il “fottuto boss” della comunicazione e non per i trofei vinti? In fondo, lui usa la comunicazione come un’arma tattica, né più né meno che come usa un terzino o un’ala, col medesimo scopo: vincere.

PC – Ma perché dal punto di vista della tattica, lui non passerà alla storia. Cioè, voglio dire, vale lo stesso discorso che puoi fare per Fabio Capello. Capello ha vinto molto di più, ma è Sacchi che passerà alla storia all’interno del mondo milanista e non solo. Allo stesso modo, Mourinho è uno che ha vinto in posti diversi – e poi ho sempre una grande ammirazione per chi riesce a vincere anche al di fuori del suo microclima, diciamo così – però dal punto di vista tattico Mourinho ti porta ad una straordinaria applicazione del pressing difensivo, del pressing selettivo, dei momenti della partita nei quali scegliere di attaccare o difendersi, ma non ha un disegno tattico per il quale verrà ricordato. È un’evoluzione al passo con i tempi del vecchio calcio all’italiana, molto più dinamico, molto più aggressivo, molto più selettivo. Ecco, secondo me la parte della sua pressione selettiva sui portatori di palla è la cosa più interessante, il suo lascito dal punto di vista tattico. Però le sue vittorie, sono le vittorie del generale che riesce a convincere i suoi uomini a battersi e a vincere anche contro avversari più forti. Mourinho passerà alla storia come un generale, non come un re, ma dicendo questo dico che sarei felicissimo di passare alla storia come un generale di questo genere.

 

HvdD – Hai qualche aneddoto che puoi o vuoi condividere con noi riguardo al Mourinho interista? Magari qualcosa che non sappiamo ancora…

PC – Ce n’è uno che mi aveva raccontato per un’intervista che gli avevo fatto su “Gazzetta TV”: gli ho chiesto la genesi del “Non sono un pirla” e lui mi ha detto che era andato all’ambasciata italiana a Lisbona, dopo che sapeva già che sarebbe diventato allenatore dell’Inter, vale a dire tre mesi prima circa, per chiedere un professore di italiano disponibile a tenere dei corsi intensivi. E così è arrivato questo professore che gli ha fatto questo corso intensivo, dopo di che all’ultimo giorno, al momento di salutarsi, Mou gli chiede: “Dimmi una cosa in milanese che mi possa permettere di fare una figura scioccante alla prima conferenza stampa”. Il professore gli disse così che la parola milanese per eccellenza è “pirla”, che vuol dire “scemo”, “tonto”, “ingenuo” e così via, e gli disse quindi: “Prova un po’ tu a vedere come la puoi utilizzare”. Lui la utilizzò in quella maniera straordinaria, assolutamente straordinaria, ed ecco quindi la grandezza del professionista che non pensa solo al campo. Mi fanno ridere quegli allenatori che dicono “Ah, io penso solo al campo, io guardo soltanto al campo”: non è così, perché per essere un grande allenatore dell’era moderna tu devi essere capace di maneggiare il rapporto con i tifosi, devi essere capace di gestire il rapporto con la stampa, devi essere capace di fare tantissime altre cose e non soltanto il tattico. In questo senso, il professionista Mourinho si preoccupa di imparare una parolaccia dialettale del posto dove sta andando a lavorare, che gli permetta di fare subito una gran figura, che è quella che lui fece. Perché il giorno dopo, se tu ti vai a rivedere tutti i giornali, “Non sono un pirla” è il titolo di ogni testata, e tutti quanti ce la ricordiamo come una battuta favolosa.

Ang – Hai citato prima Sacchi: sempre nei “Duellanti” relativamente all’albero genealogico del calcio totale citi l’Ajax di Michels, il Milan di Sacchi, il Barcellona di Guardiola. C’è potenzialmente un quarto ramo guardandosi in giro, secondo te? Io sono un adoratore di Bielsa e secondo me era l’unico che forse avrebbe potuto far nascere qualcosa di simile, ma purtroppo i suoi limiti non glie l’hanno mai consentito. E l’ultimo ramo, quello “guardiolista” del Barcellona, riuscirà ad essere replicato da qualche altra parte? Secondo te, al Bayern ha veramente fallito?

 PC – No, io contesto la tesi che al Bayern abbia fallito, nel senso che – e anche qui mi rifaccio a Mou quando definì giustamente la Champions League come “il trofeo dei dettagli” – in quelle tre stagioni a Guardiola sono mancati dei dettagli a per riuscire a vincere e a non uscire sempre in semifinale, nel senso che una volta era infortunato uno, un’altra volta ce n’era squalificato un altro… Insomma, ci fu tutta una serie di concatenazioni che gli impedirono sempre di raggiungere il risultato. Perché per me il suo grande lavoro al Bayern è comunque testimoniato da tre campionati vinti che non credo che vinceremmo noi quattro, se ci sedessimo in panchina al Bayern, come si suol dire. Si dice sempre “anche il custode dello stadio vincerebbe il campionato”, ma proprio in quegli anni Klopp ne aveva vinti due col Borussia Dortmund prima del “triplete” di Heynckes, e quindi esisteva un’opposizione e anzi il Bayern comprava i giocatori migliori del Borussia Dortmund. Secondo me, la grande opera di Guardiola la vedi nella nazionale tedesca che vince nel 2014 il mondiale, perché quella non è la Germania dei “Panzer”: quella è la mentalità tedesca, che resterà sempre – e voi con Matthäus la conoscete bene – calata su un software catalano, perché gioca un tipo di calcio “di posizione”, come si chiama secondo i sacri testi, che non faceva parte del DNA della Germania. Se vai a rivedere le partite di quel mondiale, non necessariamente il 7 a 1 contro il Brasile ma anche le altre, vedi tantissimi elementi guardiolisti. Lo vedi in Lahm che all’arrivo di Guardiola è, allora, il terzino destro più forte del mondo, e viene messo a fare il  centrocampista-regista della squadra. Magari è anche vero che non ha raggiunto il massimo risultato con il Bayern, ma questo è il lascito di Guardiola che si è diffuso fino ad arrivare ad un titolo mondiale. Il fallimento di Guardiola è quello dell’anno scorso al Manchester City, su questo invece non c’è nulla da discutere. È un fallimento molto strano per Guardiola, che è un altro meticoloso lavoratore, un altro che passa dodici ore al giorno davanti al video: perché è un fallimento dovuto all’ignoranza… ignoranza e la convinzione che quella banda di mediocri che aveva in difesa l’anno scorso potesse, attraverso dei movimenti collettivi, diventare un reparto all’altezza. Non era possibile. Io gli voglio bene, e quindi adesso vediamo, ma secondo me… Cosa hanno speso in terzini? 140 e passa…? Stiamo parlando di Neymar a 220 quando lui ne ha spesi 140 in terzini…

 

Ang – E 50 sul portiere…

PC – Sì! Insomma, siamo veramente a livelli preoccupanti. Vediamo come va, perché naturalmente come sempre succede, poiché tutti sanno che io amo il calcio di Guardiola, appena perde tutti quanti vengon da me a dire “Visto? Non vale un cazzo…” (ride, ndr). Poi per carità, la cosa divertente nel calcio sono anche gli sfottò, ecco, nel calcio ci possono stare. Però, per esempio, ho scritto oggi (5 agosto, ndr) sulla “Gazzetta” un pezzo in cui ho detto: spariamo a Neymar, uccidiamolo, mettiamo la pena di morte per Neymar, però non diciamo che è un giocoliere e basta. Neymar è un giocatore grandissimo che, secondo me, farà vincere la Champions al Paris Saint-Germain, se non quest’anno, l’anno prossimo. Perché l’ondata di antipatia ha fatto sottovalutare improvvisamente il valore del giocatore da parte di molti. Non è così: non è che se questo improvvisamente prende molti soldi dobbiamo dire che è molto scarso.

 

HvdD – Noi non abbiamo preparato domande su Neymar, di Neymar non ne volevamo parlare. Apprezza la nostra originalità!

PC – Bravissimi. Mi è venuto in mente perché parlavamo di sfottò verso i grandi del calcio e ne ho scritto proprio oggi.

 

HvdD – Sempre nei “Duellanti” hai fatto l’elenco di quell’incredibile concentrazione di allenatori che son venuti fuori dal Barcellona 1998/99, e da amante di quel calcio e seguendo da vicino l’Eredivisie vorrei farti una domanda: dei cosiddetti “figli di van Gaal”, sono transitati da noi Mourinho, e ne abbiamo già parlato…

PC – Eh, ma tu sai bene, avendo letto il libro, che van Gaal, andando via disse “Questo è bravissimo, ma non è dei nostri”

 

HvdD – Esatto, lui è nell’estremo “italianista” dello spettro barcellonista! Di quel gruppo sono venuti in Italia Luis Enrique e Frank de Boer. Costoro hanno, o meglio NON hanno ottenuto i risultati che ci si aspettava. Ci sono un sacco di addetti ai lavori, come anche di tifosi, che dicono che quel calcio da noi non vincerà mai. Per giunta, gli interisti dicono che a causa del nostro DNA da noi è impossibile giocare così. Noi stiamo chiedendo un’opinione un po’ a tutti sull’Inter guidata da Luciano Spalletti, che ha un calcio sicuramente più vicino ai Barcellonisti “olandesi” (Enrique, de Boer, Guardiola) che non a quelli “italiani” (come Mou e Vilas-Boas). Tu come la vedi?

PC – Ero un giovane cronista da poco arrivato a Milano alla “Gazzetta” e si sparge la notizia che, con grande sorpresa, l’allenatore del Milan della stagione successiva sarebbe stato un allenatore di serie B, e cioè Arrigo Sacchi, che stava allenando il Parma. Probabilmente non c’era nessun altro in redazione quel giorno, e il capo mi dice: “Tu, vai a sentire ‘sto tizio che senz’altro verrà esonerato dopo cinque giornate, però vai a fare una bella intervista perché, siccome lo prende il Milan, è interessante”. Perfetto, no? Mandi il ragazzino, in modo da non dargli troppa importanza, a questo che, comunque, sarà l’allenatore del Milan l’anno successivo, e così facendo già prefiguri il giudizio su costui. Io e Sacchi siamo molto amici da quella volta, dall’intervista che mi rilasciò a Parma, andammo a cena insieme, e lui mi disse delle cose che poi io ho puntualmente ritrovato nel calcio. Una di queste, che mi hai fatto venire in mente proprio tu parlando di Spalletti e di alcune avventure che sono andate invece peggio precedentemente, e quella dove lui mi disse che la società è tutto in una squadra di calcio. Perché se la società ha la forza di imporre attraverso l’allenatore la propria visione, magari non è detto che vinca subito, però quella società è destinata a vincere, perché è lei a dare le carte e a comandare.

E poiché Sacchi vinse nell’ 87-88 sto parlando di cose dette trent’anni fa. Molte cose sono cambiate, nel frattempo: adesso l’allenatore non allena più una rosa di diciotto giocatori più i giovani della primavera, ma un allenatore di una grande squadra deve gestire una rosa di venticinque individualità da far diventare una squadra, ed è immensamente più difficile rispetto ad una volta. Però, questa cosa della società, ho visto che è verissima. L’ho visto subito con Sacchi, quando venne difeso nel momento in cui, dopo alcune giornate del suo primo campionato, stava per saltare.e venne difeso e imposto da Berlusconi. Che è quello che è mancato all’Inter, invece, in questi ultimi anni. Cioè, all’Inter nessuna scelta è mai stata difesa e sostenuta. Io sono notoriamente molto amico di Roberto Mancini, e quindi l’anno scorso, mentre ero in vacanza in America, ogni tanto lo chiamavo per sentire come andava, perché leggevo sulla “Gazzetta” che sembrava o che lui stesse per dare le dimissioni, o che stesse per essere cacciato, che insomma la storia era arrivata a consunzione. E lui mi raccontò di una prima riunione con Jindong Zhang nella quale, presente l’interprete, il presidente Zhang chiede: “Mi dica qual è il giocatore di cui ha bisogno per far fare il salto di qualità all’Inter”. L’interprete traduce, e Thohir, presente alla riunione, ferma l’interprete, la fa uscire, e dice a Zhang: “Traduco io”.

Perché lui l’aveva giurata a Mancini, non ho mai capito per quale motivo. E praticamente questo è stato l’unico contatto che Roberto ha avuto con Zhang padre. Questa è una cosa che mi ha raccontato lui, quindi “relata refero”, come si dice in questi casi, non ero presente nella sala. Però lui poi mi ha detto “lì ho capito che ero finito”, perché lì ha compreso che, mentre Suning era – diciamo così – laica nei suoi confronti, cioè avrebbe proseguito con lui per valutarlo, Thohir aveva già deciso che doveva essere cacciato. Perché? Perché ai tempi di Tevez al Manchester City, lui e Kia (Joorabchian, ndr) avevano rotto in maniera molto plateale, e quindi Kia aveva subito chiesto la testa di Mancini. Questa è la mia ricostruzione.

HvdD – Ma alla fine chi ci ha rimesso veramente è l’Inter...

PC – Ovviamente! Chi ci ha rimesso è l’Inter! Allora: io non avrei mai chiamato Frank de Boer, non per sfiducia nei suoi confronti, ma perché Frank de Boer, che non c’entra niente col campionato italiano, che non ci ha mai giocato neanche da giocatore, se vuoi fare la scommessa su di lui, lo devi contrattualizzare sei mesi prima dell’inizio del campionato, in modo che faccia in tempo ad andarsi a vedere le partite dell’Inter della stagione precedente, che faccia il mercato, che faccia la preparazione. Perché io ci avrei scommesso la testa, alla prima partita col Chievo… col Chievo poi, il peggiore degli avversari possibili. “Il Chievo cos’è? Un rione di Verona? Ah ah ah!” Questa sarà stata la reazione, e han beccato gli schiaffoni. Perché se sei preparato bene il Chievo lo batti, perché ha dei giocatori che hanno dei limiti, ma sono una squadra. Lo sono da anni. Questa ciurma di vecchi pirati e mestieranti della serie A, se tu ti presenti slegato, ti massacra. E lo sapete benissimo, insomma, quante volte è successo e non solo contro l’Inter. E quindi lì ho visto come sarebbe andata la stagione.

 

HvdD – A me fa piacere che lo dica tu, Paolo, perché io ho provato a dirlo a tanti interisti che erano contro de Boer in maniera pregiudiziale, e ho detto loro che de Boer avrebbe fallito perché non messo in condizioni di riuscire, questo è evidente.

PC – Ma se vi ricordate, io glielo chiesi due o tre volte, durante il suo periodo all’Inter: “Mi scusi, ma come prepara le avversarie? Perché la sensazione che si ha da fuori è che lei arrivi in campo con il suo disegno tattico, ma che conosca poco la squadra rivale”. Meglio: non è un caso che la partita migliore la giochi contro la Juventus, perché quelle sono squadre che conosce. Ovviamente, l’allenatore all’estero per aggiornamento, le partite di Juventus, Roma, Milan, Inter e Napoli, le cinque grandi del campionato italiano le vede, perché sa che un giorno potrà incontrarle in Champions League. Quindi le studia, e quando le affronta sa dove andare a parare. Ed ecco che è contro il Chievo che devi studiare come una bestia per affrontarlo, e questo non era stato fatto. Difatti, secondo me l’errore di de Boer fu quello di non prendersi un Beppe Baresi come invece aveva fatto Mourinho, più “scafato”: prendersi uno che conosce e gli sappia dire “guarda che in quell’hotel di Verona dove andiamo, la notte prima vengono i tifosi a far casino, quindi dobbiamo andare in quell’altro hotel di Verona, un grattacielo, dove possiamo dormire ai piani alti”. Sono queste minuzie, i dettagli famosi che dicevamo prima, che poi decidono come vanno le partite, e quindi un italiano che conosca l’ambiente sarebbe stato molto utile. Detto questo, quindi, e cioè che non avrei mai chiamato de Boer, a quel punto però non lo avrei mai mandato via. Cioè, una volta che l’hai scelto (a proposito delle società che devono difendere le proprie scelte), e gli hai fatto fare quasi un girone con molte figuracce, e pensi che costui (perché non è uno stupido neanche de Boer), una volta pagato lo scotto del noviziato, possa ottenere dei risultati e creare un impianto di gioco, a quel punto va tenuto. Perché praticamente cosa ha fatto l’Inter? Ha pagato l’inesperienza di de Boer, e poi quando per forza di cose questa inesperienza doveva prima o poi finire, l’ha mandato via. Ha soltanto quindi pagato il prezzo senza “vedere il cammello”.

 

Ang – Anche se lì c’e stato sicuramente anche un po’ di ammutinamento dei giocatori…

PC – Sì, ma i giocatori dell’Inter si ammutinano sempre, e quello che hanno fatto alla fine della stagione è inqualificabile, secondo me. Perché quando hanno capito che c’era il rischio dell’Europa League, e uso la parola “rischio”, hanno smesso di giocare. Mi è piaciuta tantissimo la reazione dei tifosi dell’Inter di andare comunque allo stadio, come a dire: “noi siamo testimoni e saremo testimoni del vostro comportamento”. E questa è una cosa che, secondo me, in quest’ultimo mese di mercato deve contare. Il concetto del mercato interista di quest’anno mi sembra che sia tenere i giocatori bravi o bravissimi che si hanno già, perché non esisteva o non c’era finora la maniera di farli girare tutti assieme: ma grazie ad un allenatore come Spalletti e ad alcuni innesti di quattro o cinque giocatori l’Inter sembra convinta di trovare il “lievito”, come dicevamo all’inizio, e quindi di far “lievitare” questa rosa per quelle che sono le sue effettive capacità. Perché, faccio un nome, a me ad esempio Brozovic a volte piace da impazzire. Trovo che abbia una grande qualità ma poi, evidentemente non ha mostrato la mentalità per poter giocare nell’Inter, però tecnicamente è un giocatore di grande qualità.

Detto tutto questo, ecco, secondo me qualcuno di questi però deve partire. Deve partire qualcuno di quelli che, da un punto di vista anche simbolico, hanno partecipato al disastroso finale di stagione dell’Inter dell’anno scorso, e deve partire per mandare un messaggio che dice: “non è che accettiamo tutto”, e anzi, c’è il pubblico interista che è andato lì a fare da testimone di quello che stava succedendo. Qualcuno può essere riaccolto e ri-accettato se, soprattutto nel nuovo disegno tattico, potrà mostrare veramente le proprie qualità. Ma non tutti. Perché altrimenti passa “in cavalleria” tutto quello che è stato fatto l’anno scorso, e secondo me è stato molto brutto da vedere.

 

Ang – Non è che ci trovi d’accordo, Paolo: ci trovi STRA-d’accordo…L’abbiamo scritto per settimane, stiamo continuando a scriverlo e lo scrivono gli ospiti. Tra l’altro, per chiudere definitivamente l’argomento Inter e parlando di nuovi innesti, se dovessi indicare due o tre  giocatori che siano degli outsider (Emre Mor non vale, visto che il nome è appena uscito), tu a chi penseresti?

PC – Mah, sai… Purtroppo gli outsider diventano molto rapidamente dei fenomeni. Voglio dire: due anni fa nessuno conosceva Dembelé del Dortmund, e adesso invece è uno dei nomi, giustamente, in pole position per sostituire Neymar nell’organico del Barcellona. Visto un paio di volte Dembelé, ti avrei detto “questo va a velocità tripla rispetto agli altri, è veramente forte”.

Ecco, per esempio, ti dico che secondo me Gagliardini è un giocatore eccellente e che l’idea di comprarlo a gennaio sia stata altrettanto eccellente, anche se mi è spiaciuto vederlo coinvolto, poi, nella rilassatezza generale degli ultimi due mesi di campionato. In questo senso, per me Gagliardini deve essere un titolare fisso l’anno prossimo.

Un giocatore? Adesso ci metto la battuta: mi sembra di rubare in Chiesa per quel che stan facendo alla Fiorentina quest’anno… Però il giovane Chiesa è veramente un tipo di giocatore elettrico. Tu lo vedi: quando la palla gli arriva, è come se ci fosse una scossa elettrica nella partita, e quindi in questo senso, calcolando che uno dei problemi dell’anno scorso all’Inter era la bassa tensione, avere un giocatore elettrico come il giovane Chiesa, secondo me sarebbe una buona idea. Però povera Fiorentina…

JulianRoss – Approfittiamo della tua gentilezza e della tua presenza qua con noi oggi per uscire un po’ dall’ambito calcistico, visto che molti dei nostri “amici utenti” sono appassionati anche di altri sport, e ti vorremmo fare un paio di domande supplementari. Iniziando dal ciclismo, su Casa Inter siamo rimasti tutti molto colpiti dalla tragedia occorsa a Michele Scarponi, tra l’altro grande tifoso nerazzurro, e abbiamo apprezzato in tanti i video mandati in onda da Sky in ricordo del ciclista jesino. Hai qualche ricordo personale di questo grande atleta?

PC – Un ricordo personale di Scarponi forse lo trovate ancora sul sito della “Gazzetta”: nell’ultimo Giro che avevo fatto, nel 2013 mi pare, io e Pastonesi ogni mattina ci inventavamo una scenetta che alla fine era diventata la nostra principale occupazione: pensare alla scenetta da pubblicare sul sito. Erano degli sketch di tre-quattro minuti, e forse – anzi sicuramente – siamo dei “pirla” noi, ma crepavamo dal ridere facendo questi sketch. Quando è morto il povero Michele è stato anche riproposto lo sketch di questa serie che si chiamava “Surplace a colazione”, dove c’era anche lui protagonista, prima della terz’ultima tappa, una tappa durissima di montagna e decisiva. In quello sketch si vede tutto quello che era Michele Scarponi come persona. Quella mattina quando è morto sono andato ko, perché era veramente un amico.

 

JR – A me piace parecchio il ciclismo e sono andato più volte alle partenze di tappa, e lui era quello sempre più disponibile di tutti, anche prima di tappe difficili, come una con l’arrivo in salita a Piancavallo, e mi ricordo che si fermò a parlare con me un paio di minuti. Noi allora giocavamo al “fantaciclismo” e io gli dissi che avevo puntato su di lui per la tappa di quel giorno e gli chiesi scherzosamente di farmi vincere e lui per tutta risposta mi disse “Guarda, se puoi meglio che cambi scelta, perché oggi non fai bene a giocare me!”, era veramente una persona cordiale e un signore.

Facendo una bieca operazione di interesse privato in atto pubblico, e avendo il conforto anche di tre o quattro utenti triestini, torno al calcio perché la domanda sulla Triestina te la devo fare: un pensiero al mondo sportivo triestino che sembra risvegliato dal torpore negli ultimi due-tre anni, col basket che ha fatto una stagione da assoluto protagonista in A2 e speriamo che questo sia l’anno della volta buona per tornare in A1, ma anche la Triestina con la nuova proprietà – è di ieri (5 agosto, ndr) la notizia del ripescaggio. Tu conosci Mauro Milanese (che tra l’altro è pure interista) o qualcuno della nuova proprietà?

PC – Certamente. Conosco Mauro sin da quando giocava, ovviamente, e gli sono molto grato per quello che ha fatto insieme a questo suo parente australiano, che speriamo sia sempre più munifico, perché la Triestina era diventata la “ghost town” del vecchio West nella quale ogni tipo di bandito, e sottolineo la parola bandito, arrivava lì, rubava quegli ormai pochi risparmi rimasti in cassa, e se ne andava. Quel tipo di categorie calcistiche sono piene di questi tizi che, se tu vai a vedere le loro carriere, sono stati proprietari di cinque, sei, sette squadre. Perché lo fanno? Perché ovviamente hanno il loro tornaconto. E dunque la Triestina era diventata preda costante e assoluta di questo tipo di gente, e Milanese ci ha salvato, da qui la gratitudine. Adesso, penso e spero che non sia finita qui: credo che il posto della Triestina sia come minimo la serie B, e prima di salutare la compagnia mi piacerebbe vederla, almeno una volta, in serie A. Dico questo perché io sono nato nel novembre del 1958, e nel giugno di quell’anno ci fu la retrocessione in serie B dalla quale poi non sarebbe mai più risalita. Quindi, io non ho mai visto la Triestina in serie A e conto di restare ancora in giro a rompere le scatole per un sacco di tempo, ma…

 

JR –  Però il periodo sembra propizio, perché i casi recenti di Carpi, Spal, Benevento, Frosinone, Crotone nel calcio dimostrano che bastano idee chiare e un bel progetto tecnico. E poi, diciamolo, Lotito sarebbe più contento della Triestina in A che delle altre squadre…

PC – Certo! Se tu indovini la squadra con un paio di giocatori giovani e di qualità che ti portano avanti, e un paio di vecchi pirati che tengono la barca in assetto quando ci sono le onde alte, un allenatore capace, e soprattutto una società stabile, adesso ci sono degli spazi per arrivare in serie A. Facciamo così: la mia vecchia battaglia per tornare ad una serie A a 18 squadre viene congelata per qualche anno, finché la Triestina non torna nella massima serie! (ride, ndr). Per quanto riguarda Lotito, può anche darsi che qualche volta abbia ragione… Qui parla il tifoso, non il giornalista: possiamo anche dargliela la ragione qualche volta!

 

 JR – Ultimissima domanda, sul basket: che cosa ne pensi del brutto episodio che ha messo fuori causa Danilo Gallinari dall’Europeo? Che conseguenze avrà sugli europei degli azzurri a settembre, secondo te?

PC – Sai, a volte è successo, come ad esempio all’Italia del calcio agli Europei del 2000, di perdere due giocatori di valore assoluto come Vieri e Buffon, e poi vi ricordate che meraviglia di Europeo fece la nazionale, anche come qualità di gioco e non solo come risultati. E per finire poi lì in una delle partite della mia vita, che è quell’Italia-Olanda dove vincemmo ai rigori.

 

HvdD – Nove anni che abito qua in Olanda e non me la perdonano ancora, Paolo.

PC – E lo so, quella è una partita che segna la vita di chi la vede, perché fu il massacro di Fort Apache dove però alla fine vincono i cowboys, cioè escono dal forte e vincono loro. Fu un furto sportivo, per carità, se lo vogliamo vedere con occhi equanimi: però… Mi ricordo che al secondo calcio di rigore sbagliato nei tempi regolamentari, quello di Kluivert nel secondo tempo, nel quale non eravamo mai usciti dall’area di rigore, io e Calamai – inviati della “Gazzetta” – ci alzammo in piedi paonazzi, e ai giornalisti olandesi urlammo “Arrendetevi! Arrendetevi!” Era una situazione mitologica! Senz’altro, quella partita è uno dei ricordi più cari che porterò per sempre con me.

Tornando al basket: l’assenza di Gallinari, che è il nostro uomo più forte, fa aumentare lo spazio per Melli, che mi sembra il nostro uomo più cresciuto in queste ultime stagioni, e quindi mi aspetto grandi cose da lui. Ho letto che anche Datome è acciaccato, purtroppo ogni volta che c’è un torneo con la nazionale Datome ha problemi fisici, speriamo possa recuperare. Chiaro: siamo senza la nostra superstar.

Sul gesto che cosa devo dire? Altrettanto chiaro: non lo doveva fare. Non lo doveva fare, ma è evidente che ci sia stata anche una componente di “sfiga”. Voglio esprimere bene il concetto che sto per dire: è chiaro che ha sbagliato, però non è che questo crea più scandalo perché è lo sportivo italiano più pagato al mondo. Ne ho un po’ le scatole piene di questa storia dei soldi: nel senso che i soldi sono una conseguenza, che noi possiamo dire esagerata, e definirla come meglio crediamo. Ma sono una conseguenza del suo posto nella gerarchia del lavoro che fa e del mercato. È pacifico che se tu giochi nella NBA e vai a fare l’uomo-franchigia a Denver e poi vai a fare la terza punta ai Clippers giocando con Griffin, DeAndre Jordan e così via, e assolutamente normale che tu venga pagato tanto. È vero: più sei pagato e maggiori sono le tue responsabilità, però quell’attimo di raptus che ha avuto, non mi è estraneo. Non è che mi metta a litigare per un parcheggio, però capisco che ad uno possano girare le balle perché uno scemo gli sta dando delle gomitate, ecco. Non avrebbe dovuto farlo, ha sbagliato alla grande, probabilmente meriterebbe una gran multa, questo sì, perché è giusto anche toccare nella tasca, anche se poi dovrebbero dargliela i Clippers, perché che multa vuoi dare come nazionale a uno come Gallinari per toccargli il portafoglio? Però, detto tutto questo, vorrei che questo metro di giudizio venisse poi applicato a tutti gli sportivi. Perché è vero quel che è stato scritto da alcuni: che se fosse stato Balotelli a farlo, sarebbe stato portato in gendarmeria a Nizza, almeno nel giudizio popolare. E non perché Balotelli sia uno che ci ha abituati alle sue mattane però è uno che viene sempre mediaticamente menato quando fa qualcosa. Mentre il Gallo, che è uno che ci piace di più, del quale conosciamo la storia, allora va compreso. Secondo me van compresi tutti e due, o puniti e compresi entrambi.

 

Casa Inter – Noi ti ringraziamo tantissimo, Paolo, e di cuore, per il tempo e la cortesia che ci hai fatto nello stare a chiaccherare con noi.

Paolo Condò – Grazie a voi, ragazzi.

 

(un ringraziamento va all’utente Cristiano73 per la sua meritoria opera di intermediazione)