Dopo l’intervista concessa al blog “Quelli che l’Inter”  il noto volto di Mediaset Maurizio Pistocchi ha accettato di partecipare a una lunga chiacchierata anche con noi di Casa Inter.

Lo ringraziamo per la cortesia, per la disponibilità e per aver sopportato le nostre infinite domande sull’Inter e sul calcio in generale.

(Trascrizione a cura di JulianRoss, un ringraziamento particolare al gentile utente Cristiano73 senza il quale questa intervista non sarebbe stata possibile)

Noi tifosi, oltre che in televisione, la conosciamo soprattutto tramite twitter, uno strumento che sembra molto adatto al suo modo di comunicare. Che rapporto ha con i social?

Ho sempre pensato che uno che fa il mio mestiere, e che quindi fa comunicazione col pubblico, col pubblico debba anche interagire. Quando nel 1991-92 ero autore e curatore dell’Appello del Martedì con Maurizio Mosca sono stato io a ideare i primi sondaggi, perché ho sempre pensato che ci debba essere un interscambio tra le parti. Attenzione però: non bisogna travalicare le competenze e le posizioni. Cioè, io dico sempre che chi fa il nostro mestiere e lo fa professionalmente deve essere sicuramente sensibile a quello che pensa il pubblico. Il giornalista è il giornalista e il pubblico è il pubblico, nel senso che si presume, e spesso non capita, che chi fa il mio mestiere debba avere un certo tipo di competenze e quindi debba essere rispettato per le competenze che ha. Purtroppo questo a volte sui social è abbastanza complicato e mi è successo, in passato, di scontrarmi anche con tifosi dell’Inter quando, per esempio, l’estate scorsa nutrivo dei dubbi sull’Inter di Mancini perché mi meravigliavo che dopo un anno e mezzo di presenza di Mancini all’Inter ancora non ci fosse un’idea chiara di gioco.

Ovviamente siamo d’accordo, ci ricordiamo anche come la pensava sulla sostituzione di De Boer con Pioli. Lei ovviamente dice quello che pensa a prescindere dalla squadra di cui sta parlando; ma a tanti tifosi questo non piace: evidentemente della propria squadra vorrebbero sentir parlare solamente bene.

Esattamente, hai centrato il punto. Ma se io dovessi limitarmi a riportare solo le cose positive non credo che farei bene né il mio lavoro né l’interesse di chi mi segue sui social. Del resto l’obiettivo di chi è sui social qual è? Solamente contestare quello che dico? E allora perché mi segui… L’obiettivo dev’essere capire qual è la mia opinione e io credo di non aver mai nascosto le mie opinioni su nessuna squadra. Ci sono certe tifoserie che in media accettano e che, anche se non condividono, rispettano le mie opinioni ed altre che non lo fanno.

Comunque a me i social piacciono: è una comunicazione interattiva che poi rimane. Tu ti sei ricordato di quello che avevo scritto su De Boer e su Pioli e che continuavo a dire anche quando tutti celebravano Pioli. Io avevo una posizione e la mantenevo anche perché in quel determinato frangente io pensavo che – e la Juventus in parte me l’ha confermato – per ottenere risultati importanti la società dovesse essere sempre la prima ad avere le idee chiare. E invece l’Inter l’anno passato non ce le aveva.

Approfittiamo per agganciarci a un personaggio legato al mondo-Inter che è sempre molto attento agli aspetti di comunicazione: Josè Mourinho. I tifosi dell’Inter più distratti si ricordano di lei soprattutto per due episodi: il primo è la celebre moviola del post Juve-Inter nel 1998 sulla quale preferiamo glissare, il secondo è un suo acceso scambio di opinioni con l’allenatore portoghese dopo un Inter-Siena del dicembre 2008 in cui Mourinho l’aveva sostanzialmente accusata di essere arrabbiato perché l’Inter aveva vinto quella partita. Si ricorda l’episodio? Cosa ne pensa di Mourinho come allenatore e cosa pensa del suo tipo di gioco?

Per ritornare a quell’episodio che ricordo benissimo: io in realtà criticai il suo atteggiamento. Cioè, mi pareva eccessivo che l’allenatore di una grande squadra, non di una provinciale, celebrasse in quel modo una vittoria contro un avversario di non grande livello, in una partita giocata poco bene e vinta all’ultimo minuto con un gol di Maicon in chiaro fuorigioco. Era un atteggiamento da Brescia, da Atalanta, non un atteggiamento da grande squadra. Forse non fu capito quello che volevo dire a Josè in quell’occasione, per me poteva evitarsi quell’atteggiamento così plateale: non aveva vinto la Champions e poteva portare maggiore rispetto verso i tifosi avversari che forse non si meritavano quella sconfitta.

Penso che Mourinho sia un grande allenatore dal punto di vista mentale. Lui è stato capace di far fare determinate cose a certi giocatori che per altri allenatori non hanno fatto: pensa solo che è stato capace di far giocare terzino Eto’o, un giocatore straordinario già campione d’Europa; ha fatto fare il terzino a Pandev; ha ottenuto il miglior rendimento in carriera da Sneijder.

Josè Mourinho è un mentalista. Prende i giocatori per la testa e riesce a convincerli a fare cose straordinarie. Tatticamente è un allenatore che ha quasi sempre fatto un certo tipo di calcio: diciamo che è un “italianista” come concetto di base perché anche col Porto lui aveva una squadra che giocava con un 4-3-3 con Costinha davanti alla difesa che spesso arretrava in mezzo ai due difensori centrali; quindi una squadra che si preoccupava molto della fase difensiva e poi cercava di ripartire. L’ha fatto in tutte le sue squadre, e molto bene, però questo non deve essere considerato come un limite perché poi è stato capace in certe situazioni di capovolgere delle partite con dei grandi colpi di genio.

Quindi è uno stratega, uno degli allenatori più forti al mondo con un’idea di calcio che, a mio modo di vedere, non è la più forte al mondo. Però se lui, con questa idea di calcio, è riuscito a diventare uno dei migliori allenatori al mondo significa che, mentalmente, ha qualcosa in più rispetto agli altri.

E allora continuiamo a parlare di tattica, argomento che sta molto a cuore a molti dei nostri utenti. Se è vero che il calcio strutturato e/o posizionale ha soppiantato quasi ovunque gli altri modelli tattici nel corso degli ultimi dieci anni, è anche vero che i tecnici italiani hanno imposto un modello vincente ovunque e l’hanno fatto con un tipo di gioco che si discosta parecchio da quel modello di calcio di possesso che quasi tutti cercano di attuare in Europa. Quali sono per lei i motivi di questa apparente contraddizione? Ed è proprio vero che in Italia, e non solo, per vincere bisogna lasciar perdere una certa estetica del calcio?

Il calcio italiano non ha una base “di scuola”. Esiste la Scuola Danubiana, esiste la Scuola Anglosassone, esiste la Scuola Brasiliana, non esiste la Scuola Italiana: il calcio italiano nasce sull’avversario. E questo succede da 50 anni, nonostante ci sia stato un allenatore che ha rivoluzionato il calcio italiano ed europeo per un certo periodo: Arrigo Sacchi, con cui ho avuto la fortuna di lavorare nel settore giovanile del Cesena (io ero dirigente accompagnatore della Primavera). E non è un caso che molti allenatori dicono di aver imparato da lui. Però l’evoluzione successiva delle innovazioni che lui aveva portato (la difesa a zona, il fuorigioco, il pressing) è stata quella di un ritorno del gioco all’italiana: stiamo nella nostra metà campo, chiudiamo tutti i varchi e facciamo contropiede.

Questo è stato quello che fatto Capello al Milan, questo è quello che fa Allegri alla Juventus, e ovviamente se le grandi squadre propongono questa idea di calcio tutto il movimento ne risente. Il discorso vale anche al contrario perché a ruota del grande Milan di Sacchi ci furono la Lazio di Zeman o la Juve di Lippi: quella squadra messa in campo con il 4231 e Ravanelli-Paulo Sousa- Del Piero alle spalle di Vialli rappresentava anch’essa un calcio innovativo.

Oggi siamo tornati a rivedere un calcio italiano che è un calcio vecchio; il nostro è un campionato dove si punta di più a difendere che a offendere, un campionato non di elevata qualità. Per questo una squadra come il Napoli di Sarri che nelle ultime due stagioni ha fatto vedere il miglior calcio italiano costituisce un’eccezione ma nello stesso tempo un modello da imitare; ne parlano entusiasticamente Laurent Blanc, Vincenzo Montella, Pep Guardiola, lo stesso Arrigo Sacchi. Questo significa che c’è la possibilità anche in Italia di fare un calcio diverso ed è questo che io ho sempre pensato e sperato potessero fare squadre come l’Inter, il Milan o la Juventus. Non credo sia possibile pensare di arrivare in alto giocando un calcio che non ha un certo livello dal punto di vista tecnico; poi può anche succedere di vincere giocando male: è successo al Chelsea di Di Matteo, ma sicuramente non ha fatto storia. Mentre invece il Barcellona di Guardiola, il Real di Zidane e il Milan di Sacchi hanno fatto la storia del calcio continentale.

Noi interisti avevamo un po’ sperato nel cambiamento di trend quando, per il dopo Mancini, fu scelto Frank De Boer. Certo, non gli è stata data una grande possibilità…

No, infatti, non gli è stata data la possibilità. De Boer ha avuto una situazione molto complessa: è arrivato quando la squadra aveva già fatto la preparazione che, come voi ben sapete e come hanno detto i giocatori stessi, è stata sbagliata. Poi si è trovato contro alcuni giocatori che erano molto reticenti a un’idea di calcio che li metteva magari in difficoltà. Per esempio il difensore preferisce giocare in spazi stretti, è più facile, fai meno brutte figure. Ma se giochi in campo aperto e con la linea di difesa alta devi rincorrere e quindi essere più bravo e più attento.

Quindi ci son stati parecchi giocatori, da quel che mi risulta, che non hanno marciato nella direzione del tecnico. Ricordo la sostituzione di Eder, quando il giocatore non diede la mano all’allenatore uscendo dal campo: ecco, questi sono atteggiamenti sbagliati per un calciatore e penso che se quel giorno la società fosse intervenuta pesantemente multando il giocatore e creando una situazione per cui il giocatore deve adempiere ai suoi doveri professionali con l’allenatore, forse le cose sarebbero andate diversamente. Mi ricordo che il Milan perse con l’Espanyol a Lecce e gran parte della stampa italiana, capeggiata da Gianni Brera della Repubblica, voleva il licenziamento di Sacchi. Berlusconi arrivò negli spogliatoi e disse che Sacchi sarebbe stato l’allenatore del Milan anche l’anno successivo e che invece per i giocatori sarebbe dipeso dal rapporto che avrebbero avuto con lui e quindi mise i giocatori spalle al muro.

E si torna quindi sempre al discorso societario. Come tu ben sai all’Inter c’erano più anime in quel periodo: Thohir, la nuova proprietà cinese, Moratti, Zanetti… insomma c’era un po’ di distonia su quello che era realmente l’obiettivo. In un contesto del genere non ci possono essere che problemi, mentre oggi mi sembra che l’Inter si sia stabilizzata e ci sia una guida solida: quella del giovane Zhang che, leggo anche stamattina (ieri, ndr), dice cose condivisibilissime e corrette.

In tutto questo, Spalletti lei come lo giudica? E’ un allenatore più vicino a Sarri o è più un “italianista”?

Spalletti è un ottimo allenatore, lo dimostra quello che ha fatto alla Roma nell’ultimo anno e mezzo. Un allenatore che arriva a Roma e deve gestire l’addio di Totti, riesce a fare 155 punti, con una media di 2,3 punti a partita, e fa segnare 29 gol a Dzeko che ne aveva segnati 8 l’anno prima, è sicuramente un allenatore bravo; con una sola carenza che ha intelligentemente risolto: non è tanto bravo ad organizzare la fase difensiva. E con un’idea geniale ha preso Martuscello. Poi sono arrivati i soliti furbi su twitter a ricordare che Martuscello era retrocesso con l’Empoli, come se i risultati dipendessero dagli allenatori e non dalla qualità dei giocatori. Ma Martuscello ha già dimostrato, in queste prime amichevoli e specialmente nelle 3 di International Champions Cup, di aver fatto un grande lavoro sulla fase difensiva: la squadra è più compatta, più organizzata. Se tu riesci ad equilibrare le qualità di Spalletti nel gioco offensivo e nel possesso con le qualità nel gioco difensivo di non possesso, secondo me hai una squadra che, potenzialmente, già così com’è può fare un buon campionato.

Deve ancora risolvere qualche incognita dal punto di vista dell’organico ma Skriniar, Borja Valero, Vecino son tutte operazioni che condivido al 100%. Su Skriniar addirittura ti posso dire, senza patemi di smentita, che a gennaio ne ho parlato proprio con un dirigente dell’Inter indicandolo come un prospetto molto interessante per il ruolo di difensore; ed è un ragazzo che, se allenato bene, può ancora migliorare.

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E a centrocampo? Attualmente ci sono 7 centrocampisti in rosa ma si ha la sensazione che ci siano molti giocatori con caratteristiche simili e magari manchi il giocatore capace di dare lo strappo, di inserirsi in attacco. Pensa che ci possa essere ancora qualche movimento di mercato?

Che ci siano giocatori che devono uscire è parecchio evidente (si parlava di Medel, ndr) però a mio modo di vedere, se pensiamo bene all’idea di gioco di Spalletti, l’Inter come rosa è già abbastanza a posto: come centrocampisti centrali l’Inter ha Vecino, Borja Valero, Gagliardini e Kondogbia, potenzialmente 4 titolari. E nel corso della stagione nel 4231 avere 4 centrocampisti con queste caratteristiche è il non plus ultra.

Capitolo trequartisti, l’Inter ne ha già due, Joao Mario e Brozovic. Joao Mario è stato adattato in quel ruolo l’anno scorso e devo dire che ha fatto bene; è un giocatore completo, lo definirei un “tuttocampista”… un giocatore dinamico ma che fa anche tanta qualità. Gli manca solo il gol per essere un trequartista, è capace di fare l’inserimento senza palla ma non è ancora bravo nella finalizzazione. Brozovic invece è un giocatore che ha grandissime qualità ma finora è stato un professionista mediocre; io lo vidi giocare già nella sua vecchia squadra di club e in nazionale ed è un giocatore che ha destro e sinistro uguale, quindi può fare gol da tutte le posizioni. Sarebbe l’ideale per giocare sulla trequarti se avesse anche la voglia di sacrificarsi quando la palla ce l’ha avversario perché oggi non esiste un giocatore in quel ruolo che possa guardare gli altri con la palla.

In teoria l’Inter è già messa abbastanza bene, anche se a mio modo di vedere con un giocatore come Icardi, che gioca per il gol ma è limitato nella collaborazione con i centrocampisti, serve anche un trequartista/una mezzapunta che faccia anche tanti gol, perché l’Inter non può pensare di andare avanti solo con i gol dell’attaccante argentino. Ci sono delle opzioni che Spalletti potrebbe provare, per esempio Vecino potrebbe essere un giocatore da utilizzare come centrocampista offensivo alla Vidal perché, come si è visto proprio nel gol fatto contro l’Inter a Firenze, questo è un giocatore che ha anche un grande tiro; è un mio pallino fin da quando giocava ad Empoli: in un centrocampo a 3 sarebbe perfetto perché ha l’inserimento, i tempi, fisicamente è strutturato, ha un bel tiro. Un tentativo si potrebbe fare anche con Candreva che ha giocato da mezzala anche nei mondiali in Brasile del 2014 ed è un giocatore che ha tiro, vede la porta, è capace anche di saltare l’uomo.

Io ricordo quando Sacchi, all’inizio della sua carriera a Fusignano, chiedeva un libero e il dirigente della sua squadra gli diede la maglietta numero 6 e gli disse di inventarsi un libero: un allenatore dev’essere bravo anche ad inventare un giocatore in una posizione diversa da quella in cui aveva giocato precedentemente e Spalletti l’ha già fatto molto bene con Nainggolan.

Se io fossi nei dirigenti dell’Inter, una volta preso un terzino sinistro e un altro difensore centrale, possibilmente di piede sinistro che ci vuole per avere un’alternativa ai titolari, forse andrei a cercare un giocatore offensivo che giochi insieme a Icardi, diciamo un trequartista che abbia caratteristiche diverse da quelle di Joao Mario e Brozovic.

Cambiamo discorso. La notizia del momento è rappresentata dai 222 milioni che il PSG starebbe per pagare al Barcellona per Neymar e dei riflessi sul Financial Fair Play. Abbiamo letto di tutto sui problemi dell’Inter e su quelli che il Milan invece non sembra avere. Lei cosa ne pensa di questo strumento? Non pensa che il FFP abbia raggiunto dei risultati quasi contrari rispetto a quel che ci si aspettava, nel senso che sembra essere aumentata la distanza tra le squadre più ricche e quelle più povere? Casualmente, per la prima volta, una squadra ha vinto due edizioni consecutive di Champions League e si tratta forse della squadra più ricca o comunque di una delle più ricche…

Il 22 di giugno ho partecipato a un convegno alla Bocconi proprio sul FFP ed era presente anche Andrea Traverso dell’UEFA. Mi sembra che l’idea di fondo sia corretta: è importante portare un equilibrio nei conti perché ci sono state delle società che hanno avuto degli squilibri finanziari notevoli e che hanno rischiato di fallire. Ricordiamoci bene che recentemente anche l’Inter di Moratti si è trovata in una crisi economico-finanziaria gravissima e ha rischiato veramente tantissimo. Lo stesso vale per il Milan degli ultimi anni, “salvato” solamente da Berlusconi che ripianava le perdite, e per molti altri club all’estero.

E’ chiaro poi che, come in tutte le cose, ci sarà sempre qualcuno che cerca e trova la possibilità di aggirare le norme sul FFP. Se tu fai un contratto con Neymar per renderlo uomo immagine per i Mondiali 2022 in Qatar e gli dai 300 mln di euro in modo che possa pagarsi la clausola, lui diventa un giocatore libero e può accasarsi al PSG anche se il club è di proprietà degli stessi qatarioti. Purtroppo i più ricchi avranno sempre il predominio su quelli che hanno meno denaro e disponibilità.

(La seconda parte dell’intervista a Maurizio Pistocchi verrà pubblicata nei prossimi giorni)