Il Feyenoord si è laureato campione d’Olanda ben diciott’anni dopo l’ultima volta. Nel 1999 i Rotterdammers avevano rappresentato l’elemento di punta di un movimento calcistico che solo tre anni prima era stato capace di portare l’Ajax in finale di Champions League, e che tra le sue fila poteva annoverare un mix di olandesi esperti e solidi, come il leader della difesa Henk Fraser (oggi allenatore del Vitesse vincitore della sua prima coppa d’Olanda) e il capitano Jean-Paul van Gastel, e di giovani talenti che avrebbero continuato la loro carriera costellandola di vittorie. Jerzy Dudek in porta, Boanventure Kalou, il fratello maggiore di Salomon, all’ala, e soprattutto la coppia di attaccanti: Jon-Dahl Tomasson e Julio Ricardo Cruz.

Quel Feyenoord esprimeva un gioco efficace anche se magari non così bello da vedere per soddisfare pienamente il gusto degli esteti, soprattutto quelli olandesi. Ma Leo Beenhakker, allenatore del “club van het volk”, il club del popolo, aveva costruito un 442 molto veloce sulle ali in modo da esaltare le caratteristiche dei due attaccanti al meglio.

Il ciclo di quel Feyenoord culminò nella coppa UEFA del 2002 sotto la guida di Koeman in panchina, e con l’Inter a farne le spese in semifinale. Da allora ad oggi solo una coppa d’Olanda nel 2008, proprio nel mezzo del quadriennio peggiore della sua storia recente e che illuse un po’ tutti, e un’altra nella scorsa stagione.

La coppa del 2016 è stata il germoglio sul quale è sbocciato il titolo festeggiato da tutta la città in maniera più brasiliana che olandese, con un’oceanica folla radunata prima allo stadio de Kuip e poi nel viale principale della città, Coolsingel, il tradizionale luogo dei festeggiamenti biancorossi. Nella scorsa stagione Giovanni van Bronckhorst esordì sulla panchina della squadra dove era cresciuto, dove si era affermato prima di continuare la sua eccellente carriera spesa tra Rangers, Arsenal e Barcellona, e dove poi aveva concluso la sua attività agonistica per tre stagioni prima di ritirarsi dopo aver raggiunto il secondo posto ai mondiali del 2010 con la sua nazionale, da capitano; il suo inizio come allenatore non era stato dei più facili, con alti e bassi e soprattutto una clamorosa striscia di sette sconfitte consecutive (ricordata anche da Frank de Boer nella conferenza stampa pre-partita di Inter-Juventus in questa stagione). La coppa sollevata dal capitano Dirk Kuyt, al suo ritorno in patria dopo gli anni trascorsi all’estero e celebrata dai tifosi in Coolsingel aveva acceso di speranza tutti quanti, ma sembrava ancora molto il ritardo che separava il Feyenoord dalle due rivali Ajax e PSV, con i secondi beffardamente campioni all’ultima giornata a danno dei primi.

Le rose ai nastri di partenza dell’Eredivisie 2016/17 non lasciavano molti dubbi: a differenza delle rivali, il Feyenoord aveva sì una buona squadra, ma la stella rimaneva il suo 36enne capitano, ed a tutti sembrava troppo poco per vincere il campionato. E invece, Giovanni van Bronckhorst ha avuto il merito di trasformare una squadra fatta di giocatori buoni ma non eccellenti in un gruppo motivatissimo, dove quasi tutti hanno avuto in dono ciò che ogni sportivo vorrebbe: una seconda occasione.

Partiamo dai più “vecchi”. Senz’altro l’ultima occasione per Dirk Kuyt di vincere con i colori della squadra del cuore a coronare una straordinaria carriera e avere così la soddisfazione del titolo. L’ex campione d’Europa col Liverpool aveva annunciato la settimana scorsa di voler chiudere immediatamente la sua carriera in caso di vittoria dell’Eredivisie. Nella partita finale contro l’Excelsior vinta dalla sua squadra per 3 a 1, Dirk Kuyt ha pensato bene di segnare una tripletta, con i primi due gol in meno di un quarto d’ora. Una determinazione feroce, la classe del campione che anche con 37 primavere sulle spalle fa pesare tutta la sua esperienza calcistica in un momento così determinante e con una pressione sulle spalle davvero difficile da immaginare.

Anche Ejero Elia, reduce dai fallimenti ad Amburgo e a Torino sponda bianconera ha avuto la sua seconda chance, e l’ha colta con un’annata straordinaria, così come il trentacinquenne portiere australiano Brad Jones. Una storia davvero pazzesca quella di Jones: dopo aver girovagato per anni nel campionato inglese e aver coperto il ruolo di secondo al Liverpool per quattro stagioni, Jones finisce per essere ingaggiato dal N.E.C. Nijmegen nella scorsa stagione per… moria di portieri (il quinto ingaggiato in stagione dai rosso-nero-verdi). Autore di un’ottima annata, Jones viene ingaggiato dal Feyenoord per fare da riserva a Vermeer, ma complice l’infortunio del titolare Jones entra e non esce più, giocando partite eccellenti su partite eccellenti. Senz’altro se non si definisce questa una “seconda occasione” non so proprio quale potrebbe esserla più di questa.

Poi ci sono le seconde occasioni di un gruppo di giocatori molto buoni ma che per un motivo o per l’altro sono passati inosservati al radar degli scout internazionali, e che sembravano ormai aver perso il treno buono per togliersi qualche grande soddisfazione in carriera. Per molti di loro sembra davvero il copione di un film tipo “Moneyball”: tanti campionati in cima alle varie classifiche di rendimento e sempre ignorati nelle sessioni di mercato.

Ecco quindi Eric Botteghin, il brasiliano d’Olanda: dieci anni a girovagare in Eredivisie, dieci anni a vedersi riconosciuto come uno dei migliori difensori del campionato, ma mai la chiamata giusta. Ecco il suo compagno di reparto van der Heijden, 29 anni passati a girare le big del campionato olandese senza mai sfondare. Ecco Jens Toornstra, centrocampista atipico con facilità di segnare ma anche la corsa più tipica dei mediani che dei raffinati trequartisti, anni molto positivi all’Aja e ad Utrecht ma nessuna squadra straniera che si è mai fatta avanti nonostante il rendimento sempre eccellente. Ecco il trentaduenne capitano Karim El Ahmadi, nazionale marocchino ma nato e cresciuto in Olanda, che nel 2014 arrivò al Feyenoord dopo il fallimento della sua avventura inglese all’Aston Villa, giocatore di grande quantità e per questo ancora più prezioso vista la penuria del ruolo in Olanda.

Il cannoniere, il 25enne Nicolai Jorgensen aveva fallito la sua esperienza al Bayer Leverkusen ed era tornato ridimensionato a Copenaghen finché non è arrivata la chiamata dei Rotterdammers, ed eccolo centrare con 19 reti un traguardo forse inaspettato e di nuovo le convocazioni in nazionale: anche per lui una seconda occasione fantastica centrata in pieno. Steven Berghuis, che dopo un’annata pazzesca ad Alkmaar se n’era andato a Watford ed era stato rispedito in Olanda dopo solo una stagione e avendo perso la nazionale: al Feyenoord l’ha riconquistata ed ha centrato il bersaglio.

Anche i giovani provenienti da qull’incredibile fabbrica di giocatori che è il centro di Varkenoord, per quanto strano possa apparire, possono aver vissuto anche loro un’annata da “seconda occasione”. Tonny Vilhena, nome sulla bocca di tutti al suo esordio a 17 anni e un po’ sbiadito nelle ultime stagioni, ecco che era tornato in auge l’anno scorso e a fine contratto sembrava aver ceduto alla corte di Ausilio che lo voleva parcheggiare in una squadra di A per una stagione prima di approdare in nerazzurro. Il centrocampista di origine portoghese ha invece rinnovato col Feyenoord ed ha sfoderato il campionato migliore della sua carriera, vero giocatore-chiave dei biancorossi per tutto il campionato, e sicuramente il membro della rosa che può essere messo a buon diritto a fianco di Kuyt nella copertina del campionato appena vinto.

Poi c’è Karsdorp, ex ala giovanile di grande potenziale e promessa che viene retrocesso a terzino e in questo ruolo diventa campione d’Olanda e super-talento sui taccuini di mezza Europa, uno dei pochi che a mio parere può diventare un top del ruolo. Terence Kongolo, definito da tutti il centrale difensivo olandese del futuro, che finisce ai margini della squadra l’anno scorso e che riconquista di prepotenza una maglia da titolare adattandosi a giocare terzino sinistro.

Infine i più giovani, come i talenti van Beek e Basacikoglu: infortuni prima e scelte tecniche poi hanno lasciato meno spazio, ma sicuramente per loro, se non una seconda occasione, lo stimolo per poter progredire e vincere ancora in futuro.

Insomma, per quasi tutti i giocatori della rosa una seconda occasione, e non penso di dire niente di strano nell’affermare che le rose di Ajax e PSV siano tuttora più forti di questa del Feyenoord (e la finale di EL conquistata inaspettatamente dai Lanceri dovrebbe dimostrare abbastanza quest’affermazione). Ma il calcio è uno sport a volte particolare, e il carattere dei giocatori sopperisce molte mancanze tecniche. Il Feyenoord ha concluso la stagione in riserva: da un mese boccheggiava e annaspava ad ogni partita. Ma tecnico e giocatori hanno saputo stringere i denti, e neanche la sconfitta clamorosa nel derby alla penultima giornata ha minato la certezza del gruppo: una seconda occasione non può essere sprecata se gli dei dello sport sono così generosi da concederne una.

Titolo molto meritato, una bella storia di sport che va al di là delle normali considerazioni tecnico-tattiche che potremmo fare in questi casi, e magari ci sarà un’altra occasione per farle. Oggi vogliamo solo celebrare un fruppo di giocatori fedeli alla tradizione del Feyenoord, “brutti, sporchi e cattivi”, e la tifoseria più calda ed appassionata d’Olanda che ha potuto liberare la sua gioia in modo assolutamente più latino che olandese gioendo di un titolo aspettato per 18 anni.

Noi interisti sappiamo purtroppo cosa significa. Complimenti, Rotterdammers!