Serata dentro o fuori in quel di San Siro dopo le prime due stecche nella competizione più ambita (ma secondo me in questo momento un po’ scomoda per l’odiato mister considerata la rosa a disposizione) in una cornice fantastica: stadio pieno, tedeschi carichissimi e caldissimi, nervi tesi. Il destino cinico e baro degli interisti di questi anni ’10 che volgono al termine è che nel gioire dell’assenza di Wcino ti viene da piangere per la presenza di Gagliardini da Silvera. Quando uno pensa che lo stadio abbia finito gli insulti, gli illuminati dirigenti interisti riescono sempre a stupirti con nuovi abissi per la tua carriera di bestemmiatore seriale.

La partita è serratissima, una specie di guerra di posizione sulle torri di guardia, dalla quale tutti hanno da perdere. Nonostante la presenza a centrocampo dell’unico giocatore al mondo che marca con le mani perché sbaglia sempre sia la posizione del corpo che la direzione di corsa, al 22esimo ci ritroviamo in vantaggio al primo vero affondo: lancio perfetto dell’olandese volante (2, la vendetta, dopo trottolino amoroso Wesley), controllo di Lautaro che per fortuna scivola e deve colpirla come viene: botta di culo doppia perché El Toro è in gioco di 3 mm e soprattutto perché se avesse avuto tempo di pensare e mirare avrebbe certamente centrato il portiere (considerata la sua nota freddezza sotto porta, pari solo a quella di Rumpelstiltskin a fine fiaba).

Il resto del primo tempo è di una noia mortale anche perché dalle nostre parti abbiamo Lukaku in versione Lumaku (palloni toccati 2, palloni sbagliati 2, una roba che a confronto Icardi sembrava Luis Suarez) e praterie a centrocampo senza alcuna possibilità di gioco dato che Brozo e Barella corrono per 15 per sopperire al vagare senza costrutto dell’altro centrocampista.

L’inizio del secondo tempo vede un’Inter più guardinga ancora e un Borussia che cerca di recuperare senza però costruire grandi palle gol se non su errori individuali nostri che per fortuna si risolvono in rimpalli neutralizzati da Handanovic. Quando sembriamo aver finito la benzina e tutto lo stadio è in ansia, l’odiato mister fa quello che tutti avrebbero voluto: al posto degli ennesimi 15 minuti di Politano con pallone buttato via all’87esimo e gol in contropiede avversario mentre il nanetto da giardino impreca rotolandosi per terra per un fallo inesistente che l’arbitro giustamente non ha fischiato, il gobbo mette in campo Sebastiano Esposito per Lumaku. Diciassette anni, un ottimo piede e tanta voglia di crescere: entra, palla da 40 metri a campanile, stop al volo ed elastico per saltare l’avversario. San Siro già lo ama, ma la strada è lunga.

È pur vero che alla terza azione in cui è protagonista porta a spasso i due centrali crucchi fino in area e si fa atterrare: rigore netto che dovrebbe battere lui (ho i testimoni! L’ho detto subito) che ne ha sbagliati una cosa come ZERO in carriera, ma che per questioni di squadra viene lasciato a Lautaro. El Toro conferma i miei pregiudizi sulla sua freddezza e tira una mezza ciofeca centrale e a mezza altezza senza manco guardare. Devo ammettere che temevo ci saremmo squagliati come tante altre volte, mentre la squadra tiene e paradossalmente dopo qualche minuto in fascia partono in due: no, non sono Gagliardini e Cadrega, come tutto lo stadio invoca dal minuto 1, ma Cadrega e il suo polmone d’acciaio. Gol con tiro a fil di palo di giustezza e corsa ulteriore verso la curva: tutti attendono l’ambulanza per il trasporto della salma in sala rianimazione, ma inaspettatamente Cadrega finisce la partita corricchiando qua e là ancora per 6 minuti.

“Outside in the distance
A wildcat did growl
Two riders were approaching
The wind began to howl”