Se penso a tutte le ore che perdo per guardare questa squadra di merda non vedo altra conclusione che autoinfliggermi un TSO e prendere residenza all’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini. Solo uno squilibrato può sottrarre così tanto tempo ai propri affetti e ad altre meno logoranti passioni. Perché – come già in altre partite quest’anno – ogni tifoso era certo dell’esito, ma il modo in cui matura riesce a rendere indigesto anche ogni prevedibile risultato.

Entriamo in campo con doppio strato di pannoloni e una squadra che sulla carta non potrebbe segnare al Real neanche in 900 minuti di partita: Lautaro con la solita capacità di far innervosire anche Madre Teresa di Calcutta (ammesso e non concesso che fosse interista), Perisic che corre come un pazzo, Vidal che sbaglia ogni volta il passaggio in uscita costringendoci a rincorrere il Real, Brozovic che ci impiega dalle sei alle otto ore a decidere la giocata da fare (diciamo una caratteristica secondaria per chi gioca play in una squadra di calcio). Unici giocatori di calcio dalla difesa in su: Dynamite Barella.

Nonostante questo la partita è inaspettatamente equilibrata e – oltre alle occasioni del Real – riusciamo ad avere un paio di occasioni clamorose che si spengono sulla miccia corta del Toro. Poi ci pensa Hakimi: il nostro acquisto top, quello che stasera avrebbe dovuto fare la differenza, fa un retropassaggio che se l’avesse fatto Dambrosio staremmo vedendo il suo cadavere crocifisso in sala mensa. Non è da queste cose che si giudica un giocatore però bioparco in una partita così non te lo puoi permettere. Partita in discesa per il Real che poi raddoppia (strano) con Ramos.

La partita sembra indirizzata a finire nel dimenticatoio come il solito tanto a poco quando Barella si inventa un assist incredibile per Lautaro che dopo aver sbagliato gol che avrei segnato anche io riesce a infilare l’angolino. Sarà una delle due cose giuste che fa in tutta la partita. E per le quali verrà ingiustamente lodato troppo. Imbrodandosi.

Il match si scalda e cominciamo a macinare qualche azione, anche se i disimpegni sbagliati e le palle regalate al Real rischiano di vanificare tutto. Conte non cambia per non perdere l’assetto studiato e per un certo periodo la scelta paga. Bella apertura che arriva sulla testa di Lautaro che fa la seconda cosa giusta e appoggia per Perisic che stanco come un ciuco ciabatta il pallone e quindi beffa Courtois e Varane che si aspettavano un tiro normale.

È il momento. Adesso o mai più. Lautaro riceve un assist di culo incredibile, si allarga, si mette la palla sul destro, prende la mira, ecco, adesso fa la terza cosa giustaaaaaaaaa. Fuori. Devi morire. Male. Altra azione, Lautaro apre per Perisic (troppo corto di mezzo metro, come succede spesso ai nostri, cosa che denota certi limiti tecnici che facciamo finta di dimenticare) che deve rallentare e angola troppo. Fuori. Era chiaro che dopo esserci mangiati sti due gol l’avremmo presa in saccoccia.

Infatti alcuni minuti dopo Hakimi esce in pressing con un quarto d’ora di ritardo lasciado un ottuagenario Mimmo solo contro i due nuovi entrati del Real, che confezionano un gol dopo che  almeno 6/11 dell’Inter sfiorano l’intervento. Non so com’è ma la dura legge del gol non si dimentica mai di noi, mai. Chissà che cazzo di droghe hanno dato altre squadre a sta Dea Bendata di merda per volgersi altrove ogni tanto. Lo dicessero pure a noi.

Perdiamo 3-2 una partita che a questo punto avrebbe potuto finire con un risultato qualsiasi (ma guarda caso finisce sempre nel modo peggiore per noi) salutando con ogni probabilità la Champions League anche quest’anno anticipatamente in un girone che al netto del Real era abbordabile (non facile, ma certo meno difficile di altri). A questo punto molliamo gli ormeggi che un altro anno di Europa League in quarantena non ce la posso fare e se non diminuiamo gli impegni infrasettimanali rischiamo di scoppiare a dicembre. Sempre che non lo siamo già (scoppiati dico) dato che abbiamo perso 2/3 delle partite giocate (un pareggio è una sconfitta malcelata se punti in alto).